È in libreria e online il nuovo saggio del sociologo Lelio Demichelis La società-fabbrica. Digitalizzazione delle masse e human engineering (Luiss University Press, pag. 360). Ovvero, la fabbrica – e non l’impresa secondo l’ideologia neoliberale dominante – è il modello di organizzazione del mondo e del nostro dover vivere. Il dover essere imprenditori di se stessi – il principio pedagogico/ideologico del neoliberalismo – è solo propaganda per mascherare una realtà dove tutti siamo invece operai/forza-lavoro del tecno-capitalismo: forza-lavoro quando produciamo, quando consumiamo, quando generiamo dati per i Big Data. Siamo cioè in una società-fabbrica – organizzata, comandata e sorvegliata appunto come una fabbrica. E a governare/ingegnerizzare la società trasformata in una fabbrica a ciclo continuo/h24 e a mobilitazione totale sono imprenditori e manager, finanza e tecnocrati e oggi algoritmi, i nuovi meneur des foules con le loro tecniche sempre più raffinate di human engineering.
Perché il tecno-capitalismo ci vuole produttivi e consumativi a produttività e a pluslavoro crescenti solo per la massimizzazione del profitto privato. Ma realizzare una società-fabbrica è nella logica non tanto del capitalismo, quanto della razionalità strumentale/calcolante-industriale – che Demichelis analizza partendo dalla critica della ragione strumentale francofortese – che predetermina e produce e incessantemente riproduce l’accrescimento tendenzialmente illimitato sia del capitalismo, sia il sistema tecnico. Ponendosi in conflitto strutturale – perché il nichilismo e l’ecocidio sono nell’essenza di questa (ir)razionalità – con la biosfera e la società. Il vero cambio di paradigma da realizzare è allora quello di uscire da questa (ir)razionalità strumentale/calcolante industriale e positivistica e costruire invece una ragione illuministica ma umanistica ed ecologica. Un tema che riguarda soprattutto la sinistra, posto che non basta uscire dal capitalismo (ammesso che oggi qualcuno lo voglia ancora), se prima non si esce dalla gabbia della razionalità strumentale/calcolante-industriale e dal modello di una società-fabbrica che pure avevano affascinato Marx e Gramsci – e non solo. Perché è la fabbrica (con organizzazione, comando e controllo/sorveglianza) – e non la proprietà dei mezzi di produzione – a essere la causa dell’oppressione sociale, come aveva ben compreso Simone Weil.
Per gentile concessione dell’Editore, dal saggio di Lelio Demichelis riprendiamo alcune parti sul tema della digitalizzazione delle masse.
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Il titolo di questa parte delle nostre riflessioni sulla eclisse della ragione e sulla trasformazione della società in fabbrica integrata e totalitaria faesplicito riferimento a La nazionalizzazione delle masse di George L. Mosse. Il libro di Mosse, del 1975 è fondamentale per comprendere la nascita dei totalitarismi politici del Novecento, riscoprendo le radici lontane – ottocentesche – dell’organizzazione politica di massa, attuata poi dai regimi totalitari (e non solo) del Novecento. […] Organizzazione sociale che inizia infatti nel Diciannovesimo secolo con la necessità, per il sistema (capitalista-industriale) di: 1) contrastare quelle masse proletarie che esso stesso stava producendo, evitando che acquisissero una coscienza di classe e che lo abbattessero, secondo l’ipotesi di Marx ed Engels; e 2) governarle in modo eteronomo in senso capitalistico, rendendole cioè funzionali al proprio funzionamento. […] Queste tecniche di ingegnerizzazione comportamentale hanno appunto (tra Ottocento e Novecento) nazionalizzato le masse portandole a identificarsi con i valori borghesi e a integrarsi – come popolazione (come massa manovrabile di oggetti sociali) – con il collettivo-nazione e a celebrarlo come valore assoluto. […] “La folla incomposta del popolo divenne, graziea una mistica nazionale, un movimento di massa concorde nella fede dell’unitàpopolare. La nuova politica offrì una oggettivazione della volontàgenerale, ciò che trasformò l’azione politica in una rappresentazionedrammatica della quale si pensava fosse attore il popolo stesso” (Mosse). Ma questa politica per la costruzione di una massa organizzata, questo human engineering per l’integrazione nel sistema di masse crescenti di individui da trasformare appunto in masse organizzate e manovrabili (estraendone il massimo di produttività/pluslavoro/plusvalore, siaeconomico che politico, da (s)oggetti-operai produttivi e consumativi e mobilitabili [a questo sono serviti e servono management e marketing, tecniche appunto di human engineering], non si rifaceva ovviamente alla ragione illuministica, ma alle passioni e alle emozioni, a forme culturali e di esercizio spirituale, con miti e rituali collettivi, con narrazioni metafisiche e soprattutto religiose; sì, perché il modello organizzativo dominante nella modernità è sempre quello militare ma soprattutto quello pastorale (come definito da Foucault soprattutto in Sicurezza, territorio, popolazione), cioè l’esercizio del potere e la costruzione della sua legittimità/legittimazione avvengono nella forma del pastore che guida un gregge/massa […]. Tutto questo, oggi, è trasferito nella realtà virtuale e nella digitalizzazione delle masse, anche se oggi sono masse apparentemente individualizzate. Per la costruzione di un nuovo totalitarismo non più politico ma tecnologico e capitalistico (e di totalitarismo della società tecnologica avanzata scriveva già Marcuse, negli anni ’60 del ‘900).
Per comprenderne la genealogia, Mosse ha analizzato tutta una serie di elementi solo apparentemente marginali e invece fondamentali per nazionalizzare le masse, per la loro ingegnerizzazione valoriale e comportamentale: statue e edifici, poesie, canzoni e narrazioni popolari e retoriche sempre più diffuse (oggi diremmo storytelling), bandiere e inni, pitture e stampe, melodrammi e opere teatrali a vocazione nazionale e patriottica, associazioni ginniche e canore, Wagner, le liturgie e le parole-chiave e le immagini-chiave usate anche dai movimenti e dai partiti politici, anche da quello socialdemocratico ma soprattutto da quello nazista. […] Una politica/religione nazionale costruita “su una grande varietà di miti e simboli che si basavano sull’anelito a sottrarsi alle conseguenze dell’industrializzazione […]. L’atomizzazione della tradizionale visione del mondo e la distruzione dei legami tradizionali stavano penetrando nelle coscienze di larga parte della popolazione. I miti che costituivano la base della nuova consapevolezza nazionale […] avevano quindi come obiettivo quello di unificare nuovamente il mondo e di restaurare […] un nuovo senso di comunione”. Concetti e tecniche motivazionali (di human engineering, appunto) che ricordano le parole di Mark Zuckerberg usate un secolo dopo: “I social network possono favorire la creazione di una comunità globale sempre più necessaria in un mondo che tende a polarizzarsi e dove si stanno rafforzando le tendenze isolazioniste e un crescente sentimento contro la globalizzazione”. […] In realtà, il nazionalismo non era tanto funzionale a restaurare un senso di comunione perduto a causa della rivoluzione industriale, ma era perfettamente funzionale a un mondo progressivamente fatto uno (e pianificato con questo obiettivo), dall’industrialismo e dal positivismo. […] Nazionalizzazione delle masse e industrializzazione delle masse sono quindi due processi paralleli, l’uno necessario/complementare/funzionale all’altro. […]
Ma questo è appunto ciò che si riproduce oggi nella rete/digitale, dove si genera non tanto l’estetica della politica – fu essa, scriveva Mosse “la forza che servì a saldare insieme miti, simboli e sentimenti delle masse: fu il senso della bellezza e della forma che fissò il carattere del nuovo stile politico” – quanto l’estetica ludica e libidinale della tecnologia, dietro la quale si nasconde la capacità della razionalità strumentale/calcolante-industriale di farsi anche estetica politica/anti-politica. Una bellezza estetico-tecnica efficace nel sedurre le masse tecnologiche e gli operai-massa della fabbrica individualizzata/diffusa,della società-fabbrica del digitale e insieme capace di dare sostanza, questa volta tecnologica, a un mondo di felicità e di ordine, insieme illudendo gli uomini, oggi come allora, “di entrare in contatto con quelle presunte forze immutabili che sono al di fuori del corso quotidiano della vita”. Perché “il culto per i miti ricchi di significato politico si fondava proprio sulla loro eccezionalità, sul fatto che si ponevano fuori dall’ordinario corso della storia e potevano essere compresi solo da coloro che erano disposti a difenderli eroicamente. Il desiderio di esperienze diverse da quelle offerte dalla vita quotidiana, di esperienze ‘esaltanti’ è alla base di tutti i culti religiosi e da questi si trasferì poi anche alla religione laica della politica” (Mosse) – come oggi alla religione del tecno-capitalismo, dove dal pc alla realtà aumentata, alle app, ai selfie, ai social passando per Pokemon Go e i videogiochi e i bitcoin fino alla Fabbrica 4.0/5.0, al marketing 5.0 e arrivando al metaverso e oggi a ChatGpt, tutto è offerto e fatto immaginare come eccezionale e come eccezionalità-novità, cioè fuori dall’ordinario corso della storia. […]
Oggi, quindi, il tecno-capitalismo si sostituisce non solo allo Stato – governando direttamente e autonomamente il mondo e gli uomini-operai/forza-lavoro della fabbrica integrata globale [Meta e Google come le più grandi fabbriche mai costruite nella storia, con miliardi di operai che producono dati h24 e gratuitamente, cioè a pluslavoro totale] – ma anche alla nazione come luogo metafisico/religioso di nazionalizzazione, cioè di integrazione/sussunzione di ciascuno, oggi, nel tutto-nazione della tecnica. Ovvero, stiamo passando dalla nazionalizzazione delle masse alla digitalizzazione delle masse nella nazione virtuale/artificiale-Leviatano della rete/digitale, dove tutti sono ancor più docili (adattandosi) e utili (a pluslavoro e produttività crescenti) al funzionamento della comunità artificiale (ma ugualmente organica) tecno-capitalista (la rete, la fabbrica integrata, la società-fabbrica); e tutti si attengono alle regole del gioco dettate/disposte dal sistema. […]
Anche oggi si replicano quindi i modi di esercizio del potere del Grande Inquisitore di Dostoevskij, cioè miracolo (le meraviglie offerte dall’innovazione tecnologica, a prescindere dalla loro utilità e sostenibilità sociale e ambientale); mistero (gli algoritmi e il loro misterioso funzionamento, che governano e ingegnerizzano la vita umana e a cui si deve credere perché esatti e matematici); e autorità (oggi la rete, l’IA, i manager e gli ingegneri/esperti/tecnocrati/banchieri).
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