La gran parte delle persone in qualche modo interessate al tema pensa che la Cina stia sviluppando fortemente nel tempo la sua presenza nelle tecnologie avanzate, ma che gli Stati Uniti mantengano un rilevante vantaggio complessivo sul paese asiatico nel settore.

La svolta forse più importante in tema di lotta competitiva tra gli Stati Uniti e la Cina sul fronte delle nuove tecnologie si è verificata nel 2015, quando il paese asiatico ha svelato un suo piano all’orizzonte 2025 (il “Made in China 2025”) che si poneva l’obiettivo di raggiungere gli Stati Uniti entro tale data sul fronte della gran parte delle tecnologie innovative. Da allora assistiamo a un’escalation crescente delle ostilità statunitensi verso la stessa Cina, ostilità che negli ultimi mesi ha raggiunto con Biden certamente un’intensità parossistica, con nuovi episodi quasi ogni giorno: gli Stati Uniti cercano di contrastare a tutto campo e con tutti i mezzi – da quelli economici, a quelli politici, tecnologici, militari – l’ascesa del rivale, in particolare, appunto, nelle nuove tecnologie.

Ma gli ultimi dati e alcune tra le più recenti valutazioni pongono in forte dubbio l’opinione comune e la possibilità da parte statunitense di riuscire a fermare i processi in atto, che vanno per molti versi nella direzione di una crescente tendenza al primato tecnologico del paese asiatico.

Le spese in ricerca e sviluppo ed altri dati di base

Nel 1996 la Cina spendeva all’incirca lo 0,56% del suo Pil nelle spese di ricerca e sviluppo, mentre nel 2022 tale percentuale era salita ormai al 2,5%, raggiungendo un valore di circa 450 miliardi di dollari a prezzi di mercato (con una crescita del 10,4% rispetto all’anno precedente) e tendeva a crescere ancora fortemente. Tale cifra appare ancora abbastanza inferiore a quella degli Stati Uniti, il cui livello di spesa appare essere superiore al 3,0% del totale del Pil, con una cifra che nel 2022 dovrebbe essersi collocata intorno ai 607 miliardi di dollari, ma con una dinamica di crescita che appare comunque abbastanza inferiore a quella della Cina. Considerando tali dati, la spesa cinese appare all’incirca comunque ormai come pari ai tre quarti di quella USA.

Ma se misurassimo l’importo della stessa spesa con il criterio della parità dei poteri di acquisto (in questo caso in particolare considerando tra l’altro che gli stipendi dei ricercatori, voce che rappresenta una parte molto consistente della spesa complessiva, sono inferiori in Cina rispetto agli Stati Uniti) la distanza tra i due paesi si accorcia notevolmente, collocandosi ormai intorno all’85% di quella USA per il paese asiatico. Per altro verso, la Cina è ormai il primo paese del mondo per quanto riguarda il numero dei ricercatori e quello degli addetti al settore della ricerca e sviluppo.

Le cifre diventano ancora più favorevoli alla Cina se prendiamo in considerazione degli altri parametri, dal numero dei brevetti depositati ogni anno, al numero dei laureati in discipline scientifiche, a quello degli articoli scientifici pubblicati sulle riviste di tutto il mondo. Su tutti tali fronti il paese asiatico ha ormai superato da tempo gli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il numero dei brevetti, secondo le cifre dell’OMPI di Ginevra, nel 2021 gli uffici cinesi hanno ricevuto circa 1,6 milioni di domande su 3,4 milioni complessivi di richieste a livello mondiale, mentre tutte quelle asiatiche sono complessivamente circa i due terzi del totale; gli Stati Uniti a loro volta ne hanno ricevute “solo” 591 mila.

Se guardiamo poi al numero di articoli scientifici pubblicati, già nel 2020 la Cina era a circa 744 mila contro i 625 mila degli Stati Uniti e il divario sembra essere cresciuto negli ultimi anni. Nel 2022 inoltre si sono laureati in Cina sette volte tanti ingegneri che negli Stati Uniti e comunque cinque milioni di giovani complessivamente vi hanno ottenuto una laurea nelle discipline scientifiche.

Ovviamente questi dati peseranno sempre più nel corso del tempo e plausibilmente il divario tra i due paesi si allargherà ancora.

Lo studio dell’Aspi

Un centro di ricerca australiano, l’Australian Strategic Policy Institute (ASPI), ha di recente svolto una ricerca, finanziata dal Dipartimento di Stato statunitense, riguardante la situazione dei vari paesi in 44 tecnologie chiave (Hurst, 2023). Come hanno riportato molti giornali, in 37 di queste 44 tecnologie (comprese tra l’altro le batterie elettriche, le tecnologie ipersoniche, le comunicazioni con il 5G e il 6G), la Cina appare ormai il paese più importante del mondo, mentre gli Stati Uniti restano quello guida solo nelle restanti sette tecnologie (tra le quali i vaccini, i computer quantistici, i sistemi spaziali), mentre, quasi ovviamente, in nessuno di tali campi l’Europa ha una posizione di prima fila. Così il paese asiatico appare ormai avviato a essere la superpotenza guida nella scienza e nelle tecnologie; in alcune di esse appare occupare tutte le prime dieci posizioni nel campo delle istituzioni di ricerca. Così l’Accademia delle scienze cinese si colloca al primo o al secondo posto per quanto riguarda la classifica dei centri di ricerca per la gran parte delle 44 tecnologie incluse nell’analisi.

Ovviamente poi l’istituto australiano sottolinea come in ogni caso ci sia un grande gap tra la Cina e gli USA da una parte e tutti gli altri paesi dall’altra. In tale quadro sappiamo che i due, messi insieme, rappresentano ogni anno circa il 50% delle spese mondiali in ricerca e sviluppo. Comunque alcune cose sorprendono un poco, ad esempio il fatto che il Giappone non si collochi al primo posto nella robotica.

La Cina e le energie rinnovabili

Ancora più sorprendenti appaiono i numeri per quanto riguarda la lungimiranza e i successi delle strategie cinesi se prendiamo in considerazione uno dei settori esaminati nella ricerca dell’Aspi, quello relativo alle energie rinnovabili, come pure è testimoniato da uno studio anch’esso recente della IEA, International Energy Agency (IEA 2023).

Dunque, secondo i dati di questa organizzazione, la Cina domina la produzione e la commercializzazione a livello mondiale della gran parte delle tecnologie relative alle energie pulite. Tale dominio ha tra l’altro contribuito grandemente a ridurre i costi a livello mondiale nelle tecnologie chiave del settore. Così, nella produzione di pannelli solari la quota cinese sul totale mondiale si colloca oggi intorno al 75% (da un’altra fonte, Bronner 2013, apprendiamo che in particolare la quota della Cina nella produzione della materia prima impiegata, il silicio, è del 79%, nei wafer di silicio del 97%, nelle cellule fotovoltaiche dell’85%, e appunto nei pannelli solari, il prodotto finale, del 75%), nelle energie eoliche intorno al 57%, nelle batterie di nuovo intorno al 75%, mentre nelle pompe di calore la quota si ferma al 38%. Per quanto riguarda la produzione dei relativi materiali di base, nell’acciaio siamo al 54%, nel cemento al 56%, nell’alluminio al 48%. Incidentalmente, i pannelli solari cinesi non sono soltanto i meno cari presenti nel mercato, sono anche i più efficienti.

Se consideriamo poi le attività di estrazione di alcuni materiali critici, per il rame abbiamo al primo posto il Cile con circa il 25% del totale, per le terre rare la Cina con il 60%, per il litio l’Australia con il 48%, per il nickel l’Indonesia con il 38%, infine per il cobalto il Congo con circa il 70%. Per quanto riguarda invece la lavorazione degli stessi metalli, in tutti i casi la Cina è costantemente al primo posto: nel rame siamo al 34%, nel litio al 58%, nel nickel al 56%, nel cobalto al 70%, nelle terre rare al 90%.

Sugli annunci relativi ai piani di espansione della capacità produttiva del paese asiatico al 2030 nei vari settori sopra indicati, l’IEA segnala che nei pannelli solari saremmo all’85% dei piani annunciati a livello mondiale per tale anno, per le celle e i moduli all’85% e al 90% per i wafer, mentre per quanto riguarda il settore delle energie eoliche registriamo l’85% per pale e il 90% per le torri e le piattaforme; per i componenti delle batterie, il 98% per gli anodi e il 93% per i catodi. La Cina è responsabile dell’80% di tutta la capacità di produzione addizionale annunciata al 2030 per il rame, del 95% per il cobalto, del 60% per il litio e il nickel.

Il paese ha poi l’ambizione di raggiungere, sempre nel 2030, l’installazione di 1,2 miliardi di kilowatt di capacità installata di impianti eolici e solari.

Circa la metà dei pannelli solari prodotti in Cina sono esportati, prevalentemente in Europa e in Asia Pacifico, mentre sempre l’Europa importa il 25% delle batterie utilizzate dalla Cina. Nel settore eolico il paese è responsabile della metà delle esportazioni globali.

Lo studio non parla infine della questione dei boschi, ma la Cina appare anche essere ancora la leader mondiale per quanto riguarda la messa in opera di nuovi impianti boschivi.

I computer avanzati

Come sottolinea un altro rapporto pubblicato negli Stati Uniti di recente per conto del Massachussets Institute of Technology, del Council on competitiveness e della società Silicon Catalyst (Thompson, Evans, Armbrust 2023), il primato statunitense nei computer avanzati, una tecnologia fondamentale tra l’altro per la sicurezza nazionale, è quasi giunto alla fine. La ricerca indica che la Cina è ormai molto vicina agli Stati Uniti nel settore e che sta facendo dei passi in avanti più velocemente dei secondi. Così sino al 2015 all’incirca la metà dei supercomputer del mondo si trovavano negli Stati Uniti e la Cina era molto indietro nella classifica. Ma negli ultimi anni il paese asiatico ha fatto grandi passi in avanti e ora possiede più supercomputer dell’altro paese. Storicamente, poi, gli Stati Uniti guidavano il mondo nello sviluppo di nuovi algoritmi per il computing avanzato, generando i due terzi del totale mondiale, ma anche in tale campo il paese asiatico sta facendo grandi progressi; tra l’altro, la ricerca sottolinea come nel 2025 le istituzioni di ricerca cinesi impiegheranno il doppio di personale in possesso di un dottorato scientifico rispetto agli Stati Uniti.

La divergenza nell’impiego del 5G tra Nord e Sud

È noto come gli USA abbiano cercato di bloccare il successo del sistema 5G di telecomunicazioni cinese, da una parte cercando di fermare con una serie di divieti la marcia tecnologica del paese asiatico, dall’altra spingendo con un certo successo i paesi alleati (ma alcuni di essi hanno resistito) a non acquistare i sistemi cinesi nel settore.

Ma questa strategia mostra ora i suoi limiti e anzi tende a rivelarsi per molti aspetti controproducente. Al recente congresso mondiale degli apparati mobili, tenutosi a Barcellona, la Huawei si è dimostrata di nuovo in piena forma, avendo superato la crisi da blocco USA (mentre i politici e i media occidentali pronosticavano un suo rapido fallimento dopo i blocchi di Trump) e tendendo a diversificarsi in una serie di settori nuovi, dai servizi di intelligenza artificiale basati sul cloud computing (per l’industria, il settore minerario e altre attività) alle tecnologie digitali (sempre per l’industria, specialmente l’auto), a quelle per l’energia verde. D’altra parte, complessivamente, i sistemi 5G hanno preso delle strade differenti in Cina e in Occidente, con una chiara vittoria cinese, come mostra ad esempio un articolo apparso su Asia Times (Goldman 2023).

In effetti, le imprese di telecomunicazioni occidentali hanno pensato al sistema 5G come a una tecnologia rivolta ai consumatori e si stanno preoccupando del fatto che tale mercato, piuttosto ristretto, appare vicino alla saturazione. Una società come la Ericcson, che, con la ritirata obbligata dall’Occidente di Huawei e Zte, avrebbe dovuto avere amplissimi spazi di crescita, denuncia invece delle rilevanti difficoltà e sta licenziando una fetta abbastanza consistente della sua manodopera.

Invece le società cinesi del settore hanno pensato al 5G come a una tecnologia per le attività industriali, in questo sostenute anche dal Governo, e hanno messo a punto delle applicazioni importanti per molti campi di attività; quello delle applicazioni industriali è in effetti un settore che ha davanti a se prospettive enormi.

Così i sistemi 5G offrono solo qualche modesto incremento di risultati in Occidente, risultati che non giustificano in ogni caso gli investimenti necessari nelle infrastrutture relative (si tratta di molte decine di miliardi di dollari), mettendo in rilevanti difficoltà le imprese dei servizi di telecomunicazione, di fronte anche a clienti che non hanno voglia di farsi carico dei costi. In Cina invece le applicazioni industriali del 5G hanno generato tanto traffico che le nuove reti diventano presto sature. Huawei sta anche mettendo in campo un sistema avanzato di quello standard, denominato 5.5G, più veloce, più automatizzato e più intelligente. Esso permette di sviluppare molte applicazioni per le quali si sta anche costruendo un vasto mercato nei paesi non occidentali, spingendo ancora di più la Cina a essere la presenza dominante in tutto il Sud del mondo, raggiungendo anche gli angoli più remoti del pianeta e le categorie più povere nell’agricoltura e nei servizi. Si va così scatenando una rilevante rivoluzione, destinata a trasformare le economie in via di sviluppo, che, attraverso le tecnologie digitali, tendono a emulare la Cina.

I punti deboli

In non tutti i settori, comunque, la Cina sopravanza o eguaglia gli Stati Uniti. Le eccezioni più vistose riguardano, a nostra conoscenza, i chip e il settore dell’aviazione civile, in particolare per quanto riguarda i motori ed il software applicativo.

I chip costituiscono ancora la più importante categoria di importazioni del paese asiatico in assoluto, superando come importi lo stesso petrolio. Certamente negli ultimi anni le produzioni cinesi sono molto cresciute quantitativamente e qualitativamente, e hanno ottenuto dei rilevanti successi in alcuni comparti, come quelli delle memorie o della progettazione di chip avanzati per i telefonini, mentre stanno esplorando nuove vie per allentare la loro dipendenza tecnologica, ma al momento sono ancora parecchio indietro nella produzione di cpu, in quella delle macchine avanzate necessarie per la manifattura degli stessi, nonché nel software necessario per progettare i chip più all’avanguardia (Wang, 2023). Un discorso simile, anche se meno grave, si può fare per il settore dell’aviazione civile. La Comac, con il suo progetto di costruzione di un aereo in grado di competere con Airbus e Boeing, ha ricevuto nel tempo grandi risorse finanziarie da parte del Governo, ma ancora oggi, dopo quindici anni dal suo varo, il progetto appare appena sul punto di far volare il primo aereo commerciale, in relazione in particolare alle difficoltà nel campo dei motori e dei sistemi di avionica, ancora importati dall’Occidente.

Ma le sanzioni su più piani imposte progressivamente dagli Stati Uniti in tema di tecnologie avanzate, in particolare sui chip, sul sistema 5G, sull’IA e così via avranno in qualche modo successo? I pareri sono divisi, comunque mentre in generale si pensa che nel breve termine creeranno certamente delle difficoltà al paese asiatico, nell’arco di un certo numero di anni, secondo molti anche negli Stati Uniti, dal Centre for Strategic and International Studies a Bill Gates, valutano che tali sanzioni non funzioneranno come si pensava e che esse non impediranno in particolare alla Cina di produrre i chip più avanzati.

Conclusioni

I dati e le ricerche citati nel testo tendono a indicare con una certa forza come la Cina non solo non sia più indietro agli Stati Uniti nella gran parte delle tecnologie avanzate, ma come anzi essa sia già riuscita per molti aspetti a superarli, conclusione questa che appare lontana dall’opinione comune.

Ma, per alcuni versi, bisogna forse ridimensionare, almeno in una certa misura, tali conclusioni. Intanto il cliente dello studio Aspi sulle tecnologie, il Dipartimento di Stato statunitense, potrebbe avere avuto qualche interesse politico ad accentuare sulla carta l’avanzata cinese, magari per ottenere maggiori stanziamenti dal Congresso per la difesa e per la ricerca avanzata e/o per convincere i paesi alleati a unirsi contro il “nemico” incombente. D’altro canto, non è detto che l’avanzata nella ricerca si traduca necessariamente in un adeguato progresso nelle relative applicazioni industriali. Prendiamo il caso della ricerca nelle tecnologie dei motori avanzati, dove la Cina appare ormai la presenza dominante; essa non ha ancora messo in campo delle linee di produzione adeguate per la nascente aviazione civile e deve ricorrere ancora alle forniture occidentali di motori, come abbiamo già ricordato. Abbiamo ancora già sottolineato il rilevante ritardo cinese in un settore cruciale come quello dei chip, punto sul quale gli Stati Uniti cercano in tutti i modi di fare leva; e si potrebbe continuare. Ricordiamo ancora come la spesa nella ricerca di base sia in Cina ancora molto bassa, costituendo un frazione del 7-8% del totale degli esborsi annui in R&S, anche se con tendenza alla crescita; ma, d’altra parte, la forza tecnologica cinese si genera soprattutto nelle fabbriche, non tanto nei laboratori, attraverso un processo di apprendimento generato dalla produzione di massa, dal suo prodigioso ecosistema manufatturiero, cioè da una spettacolare capacità di fare le cose, dalla profonda conoscenza dei processi di produzione (Wang, 2023).

Tutto questo ci induce a accettare comunque con un minimo di prudenza le conclusioni in particolare degli studi dell’Aspi, di Goldman e del MIT, ma appare comunque indubitabile che la spettacolare crescita cinese ha ormai raggiunto dei livelli parecchio più avanzati di quanto si poteva pensare e che i muri sempre più alti sollevati da Biden, come abbiamo già ricordato, non riusciranno probabilmente a fermarla, anche se forse otterranno di rallentarla in qualche settore. E a meno di eventi oggi imprevedibili, il primato complessivo del paese asiatico nelle nuove tecnologie sembra ormai perlomeno vicino.

Aspettiamoci in ogni caso dei nuovi colpi di coda da parte degli Stati Uniti, che non si rassegneranno certo ad accettare di buon viso i progressi dell’avversario e faranno di tutto, prendendosi anche forse dei gravi rischi, per fermarli.

Testi citati nell’articolo

– Bronner L., Pleins feux sur l’énergie solaire, Le Monde, 14 marzo 2023

– Goldman D., Digital worlds diverge at World Mobile Congress, www.asiatimes.com, 3 marzo 2023

– Hurst D., China leading US in technology race in alla but a few fields, thinktank finds, www.theguardian.com, 2 marzo 2023

– International Energy Agency, Energy technology perspectives 2023, gennaio 2023

– Schmidt E., Innovation power, why technology will define the future of geopolitics, www.foreignaffairs.com, marzo-aprile 2023

– Shilov A., China’s largest chipmaker delays new fab, sanctions likely root cause, www.tomshardware.com, 7 marzo 2023

– Thompson N., Evans C., Armbrust D., America’s lead in advanced computing is almost gone, www.gppreview.com, 28 febbraio 2023

– Wang D., China’s hidden tech revolution, www.foreignaffairs.com, marzo-aprile 2023

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Un commento a “Competizione tecnologica. I segnali del sorpasso cinese”

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