Bonini, tu sei segretario generale della camera del lavoro di Milano. Non c’è credo bisogno di ricordare cosa abbia rappresentato questa camera del lavoro nella storia del movimento operaio. Sono in arrivo i fondi del PNRR. Sono note le posizioni critiche della Cgil sul PNRR, nel merito e nel metodo, alla base dello sciopero del 16/12/2021 con la UIL. Ciò non toglie la necessità di provare a orientarne la spesa su territori importanti come il tuo.

La Camera del Lavoro di Milano, interpretando pienamente il ruolo confederale ha provato a orientare il dibattito sul PNRR cercando di anticipare i tempi e facendo leva sul fatto che i piani europei avrebbero dovuto essere rigorosamente messi in atto dal Governo italiano.

Con questa premessa ha elaborato e presentato alla città un Piano di innovazione, ripresa e sviluppo già dal settembre 2020 presentandolo al mondo associativo, imprenditoriale, politico ed istituzionale. Le proposte hanno riguardato il futuro dell’area metropolitana per fronteggiare una crisi economica e sociale che si prospettava non breve, profonda e potenzialmente pericolosa anche per la stessa tenuta democratica del Paese.

I temi al centro del Piano erano e rimangono: l’investimento nel lavoro pubblico, il lavoro di qualità, la legalità e la sicurezza, la costruzione di una nuova socialità attraverso investimenti nella scuola, nella salute territoriale, il tema di enorme richiesta di abitazioni a prezzi accessibili, l’ambiente, la governance del territorio, le periferie, l’innovazione e il suo governo.

A fronte della ambiguità del concetto di espansione della smart city ci siamo fatti promotori, nell’ottica di costruire un modello di sviluppo più sostenibile, del concetto di società intelligente. Società che mette insieme le persone, non le lascia sole e non lascia indietro nessuno, crea servizi di supporto in un’ottica di solidarietà, e garantisce l’accessibilità a beni primari: lavoro, scuola, sanità. A Milano da tempo tutto questo non è scontato.

Certo non avevamo immaginato che terminata l’emergenza sanitaria ci saremmo trovati di fronte a un conflitto bellico nel cuore dell’Europa e che rischia di compromettere ogni valutazione rendendo ancora più fragili le dinamiche economiche e le persone.

Nelle sue raccomandazioni la UE indica come obbiettivo di fondo: “Sostenere la ripresa economica e, superata la fase critica, continuare ad assicurare la sostenibilità del debito pubblico”, il che costituisce un problema se l’incremento degli investimenti non produrrà uno stabile sviluppo. Ecco perché nel finanziamento la UE dà priorità a “Progetti che riguardano principalmente beni pubblici (infrastrutture, educazione e formazione, ricerca e innovazione, salute, ambiente, coesione sociale e territoriale)” e ai Patti occupazionali, che devono indicare con “stima affidabile” l’incremento di occupazione.

Il piano della Cgil Milanese prevede a regime un incremento di oltre 80 mila posti di lavoro.

L’occupazione e i dati di riferimento sono uno dei lati oscuri del PNRR italiano. Non se ne trova traccia nei documenti governativi se non in termini talmente generici da risultare poco credibili e nel dibattito politico il tema è largamente assente. Questo però è un fondamentale che rischia di essere disatteso e il sindacato deve caparbiamente insistere e pretendere chiarezza attraverso tavoli istituzionali di monitoraggio così come delineati nel protocollo firmato con Draghi alla fine del 2021. In questa fase non siamo ancora stati in grado di avviarne uno per l’area metropolitana milanese. C’è disattenzione, disinteresse ma soprattutto anche agli enti locali non è chiara la gestione del Governo di redistribuzione delle risorse.

Milano è anche la città indicata come la protagonista italiana nei processi di innovazione e cambiamento dei modelli produttivi, sociali ed economici.

È vero per le classifiche sulla qualità della vita, sull’innovazione, per lo sviluppo urbanistico e si conferma attrattiva per capitali, investimenti e professionalità altamente qualificate. Però, non è una città altrettanto inclusiva. E il peso dello sviluppo è scaricato sull’hinterland. Difficoltà in aumento ora che il caro vita ritorna a correre. Crescono i prezzi delle case e aumenta la contrazione dei salari, anche per i lenti rinnovi contrattuali nel terziario. Crescono il lavoro povero e le partite IVA mono committenti.

Questi elementi da tempo creano un effetto espulsione verso le aree periferiche dell’aerea metropolitana. Va chiarito che molti dei problemi che si addebitano al Covid erano presenti già da prima: la gestione delle transizioni digitali e di sostenibilità ambientale, salari bassi, presentano disuguaglianze sempre più accentuate, i prezzi delle case sono in continuo aumento anche nelle periferie, vi è una forte discontinuità lavorativa e dal 2019, per la prima volta, cala lo stock dei contratti a tempo indeterminato.

Una sintetica fotografia delle contraddizioni milanesi è sintetizzabile così: ci sono numerosi infortuni all’anno e morti sul lavoro nonostante per anni la retorica politica abbia spiegato che a Milano stava cambiando il mondo del lavoro in termini di innovazione digitale; 85 contratti a termine ogni 100 nuovi assunti; 340,000 cittadini guadagnano meno di 15,000 euro all’anno e il 27,7% del reddito prodotto è nelle mani del 2,4% della popolazione, anche se il reddito medio è di 34.000 euro le medie spesso delineano un quadro distorto e quella del reddito ne è un esempio; su questa rappresentazione si rischia di costruire politiche poco rispondenti ai bisogni dei cittadini.

Oggi alcune di queste dinamiche sono purtroppo diventate patrimonio del Paese.

Come avete reagito?

Per provare a rispondere ad alcune storture negli anni sono state sottoscritte importanti intese, alcune replicate anche in altre parti d’Italia: ricordiamo ad esempio l’istituzione dell’osservatorio per il mercato del lavoro; il tavolo per la sicurezza sul lavoro e i tavoli tecnici in Prefettura con imprese ed enti deputati ai controlli; il protocollo per la trasparenza e la qualità del lavoro negli appalti; l’accordo per la riduzione dell’addizionale comunale all’Irpef, gli accordi intercorsi sull’area Expo e successivi all’esposizione universale, i tentativi di contrattazione d’anticipo nelle grandi aree di trasformazione che provano ad orientare la qualità del lavoro durante i cantieri di rigenerazione ma anche di quel lavoro che nascerà successivamente.

In ultimo il Patto per il Lavoro citato che mette al centro la qualità, la sicurezza, la legalità, le politiche attive e la formazione, politiche di orientamento al lavoro e una maggiore efficacia dell’incrocio domanda offerta, il sostegno ai processi di innovazione organizzativa e digitale delle imprese e la creazione di nuove capacità imprenditoriali che siano in grado di creare occupazione stabile, le nuove modalità di lavoro come lo smart working e l’occupazione di donne e giovani.

Tutti filoni importanti ma che sono dettati da quello che il Comune di Milano può fare in termini di poteri, cioè poco. Nelle città metropolitane sarebbe importante poter ragionare dei temi del ridisegno dei tempi della città e quindi degli orari e dell’organizzazione del lavoro nelle aziende e nei servizi, del sistema dei trasporti (tradizionali e “leggeri”), della rete dei servizi pubblici e privati conciliativi, di welfare, di ruolo pubblico dei servizi sociali e di supporto alle famiglie; la contrattazione del cambiamento dei sistemi organizzativi costituirebbero per la Camera del Lavoro di Milano un terreno fondamentale di iniziativa.

L’istituzione delle Città Metropolitane è monca: figlia di una riforma mancata.

Oggi sono istituzioni prive di poteri in grado di governare i processi territoriali. Questa assenza istituzionale provoca distanze dentro lo stesso territorio. La città da una parte e il “contado” dell’hinterland dall’altro. Il Capoluogo che avanza e corre, e l’hinterland che arranca in un mare di problemi sociali, economici, abitativi, di mancanza di servizi sociali e di mobilità pubblica. Frammentata in centinaia di grandi, medi e piccoli Comuni che a loro volta si chiudono nei loro recinti in una dinamica di competizione al ribasso. La festa dentro la città e la rabbia che cresce da chi guarda da fuori. Non è tollerabile.

Le Camere del Lavoro devono diventare soggetti che agitano positivamente i conflitti, indirizzandoli e governandoli. Per farlo devono avere un luogo di mediazione che oggi manca o che è distante e quindi disattento e inefficace. Lo dico anche pensando al nostro prossimo congresso.

Il sindacato confederale non può essere un semplice agitatore fine a sé stesso ma deve essere il promotore anche di quelle mediazioni che devono ricondurre le battaglie al governo del consenso di chi si vuole rappresentare rendendo efficace la logica della partecipazione di lavoratrici, lavoratori, stabili o precari, pensionate, pensionati, giovani. Immaginiamo anche confini nuovi e diversi dei territori. Più razionali rispetto a quelli che avevamo conosciuto. Le dinamiche e le conformazioni delle aree dovrebbero oggi avere confini diversi da quelli noti e che abbiamo conosciuto anni fa sui libri. Ovviamente si tratta di ipotesi da discutere.

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