Raniero La Valle con un appello-proposta su “il manifesto” del 2019 promosse una scuola “Costituente Terra”, cui Luigi Ferrajoli e altri hanno aderirono con convinzione. Sembrava una sfida e una impresa intellettuale, richiesta dalle catastrofi che l’alterazione del clima indotto dagli uomini imponeva, e che tuttavia come molte altre negli ultimi cinquant’anni (dall’allarme del Club di Roma sui “limiti dello sviluppo” del 1972!) avrebbe potuto restate vox clamans in deserto. Un deserto appunto quello di chi non vuol sentire: governi, scienziati, forze economiche. E un deserto era immagine incombente sul pianeta: in quello stesso 2019 National Geographic a novembre pubblicava l’ennesimo articolo sulla misteriosa fine della civiltà di polinesiani che nell’isola di Pasqua avevano costruito gigantesche sculture, i Moai, più di 900. Isola brulla e disabitata apparve ai primi europei che vi sbarcarono nel 1722. Un mistero tutt’ora le cause della catastrofe: sembra sia stata causata dalla stessa comunità umana, con la distruzione delle gigantesche palme servite a trasportare le tonnellate di immagini sacre. La vicenda ha dato origine a innumerevoli scritti, ammonimenti, metafore e profezie sul futuro dell’intera comunità umana, da quando le conseguenze dell’industrializzazione e del saccheggio delle risorse naturali hanno preso proporzioni e visibilità che è impossibile ignorare.

Ma in quell’anno 2019 non si era ancora manifestato il Covid, la pandemia non aveva posto l’umanità intera, ciascun individuo, donne e uomini nel medesimo tempo e ovunque nel mondo di fronte all’interrogativo radicale, circa l’idoneità dei sistemi politici e dei governanti di ogni parte del mondo di far fronte alla “autodistruzione”, che appare in atto a tappe accelerate, non solo per l’alterazione del clima, ma per lo scatenamento di virus e contagi che in poco tempo hanno mietuto milioni di vite.

È con tanta maggiore ragione quindi che il tema di una diversa costituzione politica del mondo ora si impone, ben al di là dell’interesse di pochi studiosi: è il tema che, magari con livelli diversi di consapevolezza, sta inquietando ovunque persone comuni e forze politiche finora chiuse nella loro irresponsabilità. Immaginare che si debba procedere a un processo costituente dell’umanità per salvare la vita sul pianeta sembrava questione addirittura impensabile. E invece l’imperativo universale dell’oggi è pensare appunto l’impensato.

Uno straordinario contributo ci dà Luigi Ferrajoli, che ha pubblicato un testo agile e potente, frutto del suo lavoro per quella iniziativa di scuola proposta da La Valle: in meno di 150 pagine mostra come il costituzionalismo democratico indichi la sola risposta realistica alle catastrofi e alla minaccia di estinzione del genere umano sul pianeta (Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio, Feltrinelli, 2022). Nel volume è contenuto anche un Progetto di Costituzione in 100 articoli, proposto alla discussione più larga e destinato all’attenzione delle Nazioni Unite: come nella Carta dell’Onu il linguaggio è quello del soggetto “noi, popoli della Terra”, e come nel 1945 è la consapevolezza delle responsabilità umane che spinge a proclamare “mai più così”.

Denso e chiarissimo, il libro di Ferrajoli mette a frutto migliaia di pagine e decennali studi da lui dedicati al costituzionalismo e alla democrazia. L’assunto fondamentale è che catastrofi e pandemia hanno reso necessario provarsi tutti insieme a costruire la sfera pubblica della globalizzazione. Soggetti economico-finanziari potentissimi hanno aggredito e ridotto le sfere pubbliche che gli Stati nazionali, ciascuno nel proprio ambito, avevano costruito per dare protezioni alle rispettive società. La politica e i governi sono stati sottomessi ai poteri economici. Le società condannate a diseguaglianze e ingiustizie crescenti. L’ambiente naturale depredato e spinto al collasso. La risposta possibile non è rinchiudersi in “sovranismi” illusori e ugualmente sottoposti ai potentati economici, ma affrontare la globalizzazione come realtà irreversibile e assumere appunto il compito di “civilizzarla” attraverso un sapiente lavoro di costruzione di una sfera pubblica mondiale.

Questo significa andare al di là dei limiti dell’Onu e ben oltre le politiche del costituzionalismo statale. Ferrajoli pensa che il dispositivo delle costituzioni rigide, così come le abbiamo conosciute nel ‘900 – se convenientemente allargato alle relazioni internazionali, ai poteri economici privati e a garanzia dei beni fondamentali oltre che ai diritti fondamentali – sia già in grado di dare risposte ai nuovi problemi di governo della globalizzazione. L’ispirazione di fondo, che risale a Kant e poi ripresa da Kelsen, consente uno sviluppo di questa cultura e segna obiettivi concreti di allargamento di poteri e istituzioni destinati non solo a enunciare solennemente diritti umani fondamentali, ma a disporne specifici apparati globali di garanzia. Sanità, istruzione, fisco devono essere affidati a apparati separati dai poteri politico-rappresentativi, per provvedere alla effettiva protezione dei diritti fondamentali di tutte le persone della Terra. A governi e parlamenti rappresentativi restano, nei loro ambiti territoriali, le scelte “decidibili”, non quelle indecidibili poste a garanzia primaria dell’umanità.

Notevole, per comprendere l’ispirazione che muove tutto il disegno, l’introduzione del concetto di “crimini di sistema”, per rendere visibili e perseguibili le responsabilità diffuse e confuse, che singolarmente sfuggono al controllo del diritto penale, ma che la logica di sistema fissata dalle priorità del profitto inanella in una catena di complicità nella devastazione dell’ambiente e nella produzione dei disastri.

Qui Ferrajoli tocca il nocciolo duro del diritto di proprietà privata, costitutivo delle società democratico-liberali fin dai loro fondamenti. E con coraggio indica che bisogna varcare questo limite: il costituzionalismo finora è stato solo una dottrina per la democratizzazione della sfera pubblica, occorre che nasca un costituzionalismo della sfera privata. Occorre che anche qui si fissino limiti, divieti d’uso, garanzia di beni comuni e bando di beni nocivi all’umanità (armi).

Utopia? Luigi Ferrajoli rende esplicita la domanda, ma obietta: cos’altro si può fare, se non tentare questa strada? L’alternativa del cosiddetto realismo – non c’è nulla da fare, adattiamoci – non esiste: perché le cose non resteranno così come finora sono state. Possono solo peggiorare, stanno peggiorando sotto i nostri occhi. Giorno per giorno.

Leggere, dare magari un contributo e sostenere il progetto è ora compito a cui tutti siamo chiamati. E non si tratterà evidentemente di un impegno solo intellettuale. L’impresa che tutti deve mobilitare è la costruzione politica, cioè culturale e organizzativa, di un movimento globale. Nel secolo passato qualcuno ce n’è stato, dal ’68 degli studenti ai movimenti per la pace: investire le Nazioni Unite della proposta oggi è atto politico, responsabilizzazione delle classi dirigenti. Senza un profondo mutamento dei loro indirizzi, infatti, sarà impossibile il cambiamento. Ma la lotta per condizionare gli indirizzi politici dei gruppi dominanti è sapienza dei movimenti democratici: siamo chiamati a qualcosa di inedito nella storia, eppure a lungo e in profondità concepito, desiderato da milioni e milioni di coscienze militanti in ogni parte del mondo. È da qui e su tutto questo che può rinascere una sinistra nel mondo.

Qui il PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *