Il 4 maggio il Consiglio di Istituto del Liceo Albertelli ha bocciato due progetti del Piano Scuola 4.0 del PNRR. Puoi ricordare a chi non ha dimestichezza con gli organismi scolastici da chi è composto il Consiglio di Istituto, quale è il suo ruolo e quali sono i suoi poteri?

Il Consiglio di Istituto è un organo collegiale che esprime la rappresentanza di tutte le componenti scolastiche: docenti, personale ATA, studenti (alle superiori), genitori, dirigente scolastico (Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297).

Tra i suoi compiti ci sono quelli di elaborare e adottare gli indirizzi generali, determinare le forme di autofinanziamento e disporre in ordine all’impiego dei mezzi finanziari per quanto concerne il funzionamento amministrativo e didattico dell’istituto. Il Consiglio ha potere deliberante per quanto concerne l’organizzazione e la programmazione della vita e dell’attività scolastica, in particolare per l’acquisto, il rinnovo e la conservazione delle attrezzature tecnico-scientifiche e dei sussidi didattici, compresi quelli audio-televisivi e le dotazioni librarie. In pratica, in collaborazione con il Collegio dei Docenti, gestisce le attività dell’istituto: la Scuola in Italia è l’unica istituzione dove esistono forme di democrazia diretta (il Collegio dei Docenti – una testa un voto) e di partecipazione attiva e deliberante di tutti i soggetti sociali coinvolti.

Pertanto, il CdI dell’Albertelli, nel respingere i progetti del Piano Scuola 4.0, ha legittimamente operato nel pieno rispetto della normativa vigente.

Il primo dei due progetti non approvati si chiama “Next Generation Labs” ed è dedicato alle “professioni digitali del futuro”. In cosa consiste il progetto e perché non lo avete approvato?

Secondo questo progetto, le “professioni digitali del futuro” verso le quali gli studenti e le studentesse del Liceo Classico “Pilo Albertelli” si sarebbero dovuti proiettare erano: “esperti in Video Making, Produttori di Musica Digitale, Curation Manager (cura le nuove uscite nelle playlist, sic), Digital Curator, Social Media Manager, Social Media Editor, Digital Media Curator…”. Il testo del progetto specificava le relative “competenze digitali” che avrebbero dovuto acquisire: “saper girare video con uno smartphone, saper realizzare filmati e pillole per i social con attenzione crescente ai contenuti per le Instagram stories, saper analizzare i dati e i trend di ascolto streaming dei brani musicali…”; per queste nuove competenze si sarebbero spesi 124 mila euro! Crediamo che esse mostrino un’estrema povertà di contenuti e stridano con gli obiettivi di un liceo, cioè imparare a tradurre dal greco, a comprendere la storia e la fisica, e più in generale con le finalità di tutte le scuole di ogni ordine e grado: acquisire una capacità critica e un metodo di studio, avere una base culturale solida… e non saper usare Spotify e Instagram.

Inoltre, tramite Labs si scardina e si svilisce il lavoro sistematico con continue interruzioni e interventi spot che puntano a unainfarinatura di “competenze”, con una visione che inchioda le giovani generazioni al ruolo di forza-lavoro, privo di qualsiasi autonomia. In ogni caso, queste considerazioni prescindono dallo specifico progetto presentato all’Albertelli: infatti, qualunque azione sia prevista nei progetti proposti in qualsiasi scuola, i paletti indicati nel Piano ‘Scuola 4.0’ sono così stringenti in termini di obiettivi, di ambito esecutivo, di contenuti generali, di tempi, di azioni obbligatorie connesse alla realizzazione dei progetti (ad esempio, l’introduzione di nuove metodologie didattiche e valutative, l’e-portfolio per gli studenti, ecc.), che anche le idee apparentemente più presentabili finiscono per stravolgere in profondità i contenuti e l’organizzazione della didattica.

La nostra critica è quindi all’impianto nel suo insieme, poiché il progetto Labs del Piano “Scuola 4.0”, finalizzato come si è detto alle competenze professionali e alle professioni digitali del futuro, ha come obiettivo quello addestrare non tanto “al lavoro”, ma “alle condizioni in cui si esercita e sempre più si eserciterà il lavoro”: sottopagato, privo di diritti, precario, svuotato di creatività.

Il secondo dei due progetti si chiama “Next Generation Classroom” e ha come obiettivo dichiarato quello di aumentare l’attrezzatura digitale disponibile in ogni classe. Perché non lo avete approvato?

Questo progetto prevede l’acquisto di digital board, tablet e stampanti al fine di trasformare le aule scolastiche in “ambienti ibridi” di apprendimento: questo nuovo assetto dovrà determinare a cascata “innovazioni organizzative, didattiche, curricolari, metodologiche” che si adeguino alla “velocità delle comunicazioni che caratterizza la nostra società”. Molte parole vengono spese “sul benessere emotivo e lo stimolo relazionale, sullo sviluppo dell’empatia” degli studenti o sul “rendere protagonista l’alunno che si avvicina sempre di più alla scelta consapevole del proprio ruolo nella società”, senza che però vi sia alcuna spiegazione o evidenza su come i dispositivi digitali possano concorrere a questi obbiettivi. Neanche una parola invece è riservata alla profondità delle conoscenze che sono necessarie per comprendere – e non solo subire – una società sempre più complessa. Peraltro, la nostra scuola è già dotata di 41 smart TV, 7 proiettori, 49 PC Notebook, 41 PC Desktop, pertanto ci sembra irrazionale e antieconomico sobbarcarsi collettivamente un debito di circa 150.000 euro per ulteriori attrezzature multimediali che per loro natura vanno incontro a una rapida obsolescenza e che quindi acuiscono, anziché arginarla, la percezione di vivere in un mondo effimero. Si legge nel Piano “Scuola 4.0” che “l’ambiente di apprendimento innovativo è organizzato per determinati gruppi di studenti intorno ad un singolo ‘nucleo pedagogico’, che va oltre una classe o un programma predefinito”; le nuove classi, oltre ad avere notebook e tablet individuali o di gruppo, dispositivi per la fruizione delle lezioni possono essere svolte anche in videoconferenza, dovranno avere a disposizione dispositivi per la fruizione di contenuti attraverso la realtà virtuale e aumentata. Con il progetto Classrooms pertanto, si disarticola il percorso di apprendimento nel gruppo-classe (che non è una community e nemmeno una chat), dimenticando che la formazione è un fatto sociale, collettivo: se viene meno la classe, viene meno quella comunità ermeneutica dove si sta col corpo, con lo sguardo, con la voce, dove si condividono i sentimenti e gli stati d’animo e si cresce e si va avanti insieme grazie alle diversità; pertanto, le classi “ribaltate” o destrutturate amplificano le disuguaglianze di partenza, impediscono i processi di inclusione e vicinanza. La relazione, uno dei presupposti del processo educativo, non sarà più diretta e fisica, ma mediata dal mezzo digitale: i nuovi ambienti sono pensati e idonei per le macchine, non per gli esseri umani.

Chi sono stati gli estensori di questi progetti? Chi è responsabile dei loro contenuti? Quanto e come sono stati coinvolti gli studenti?

I progetti sono stati elaborati dal dirigente scolastico e sono stati caricati sul sistema del Ministero a febbraio, senza essere stati portati preventivamente alla discussione del Collegio dei Docenti e del Consiglio di Istituto. Solo a maggio sono stati sottoposti alla dovuta delibera del CdI e in quell’occasione, in seguito a un’approfondita analisi e discussione collettiva, l‘intera componente docenti che partecipava alla seduta, la maggioranza dei genitori presenti e uno studente hanno votato per la non approvazione, decidendo per la bocciatura. In quell’occasione, di fronte alla richiesta di spiegazioni da parte degli studenti sul loro mancato coinvolgimento, il dirigente ha risposto che non era previsto dalla procedura: per questo motivo e per la mancata informazione preventiva, nessuno studente del CdI ha votato a favore dei progetti.

La stampa non vi ha trattato bene. Siete stati presentati come genitori retrogradi e impauriti dal luminoso futuro digitale che aspetta i vostri figli. Come avete risposto a queste accuse?

È vero, diversi articoli di giornali e alcuni servizi televisivi hanno dato un’informazione distorta e parziale, basata su un’analisi estremamente superficiale e banalizzante del problema, certamente suggerita da chi tentava di delegittimare il dissenso espresso dalla nostra scuola. Il Consiglio di Istituto non ha preso una posizione precostituita ma, essendo un organo di discussione dove è possibile l’ascolto e il confronto, ha maturato collettivamente un giudizio fondato sullo studio della norma in esame.

Come genitori abbiamo capito che forse è troppo complesso da comprendere o troppo scomodo da dire che quanto sta avvenendo all’Albertelli non è la contesa tra innovazione e opportunità da una parte, e vetero ideologie dall’altra. Tra noi ci sono ingegneri, informatici, fisici, matematici (ma anche insegnanti, operatori sociali, lavoratori autonomi, impiegati e operai); lavoriamo con le tecnologie e sulle tecnologie e sappiamo bene che il progresso tecnologico richiede una sempre maggiore complessità e profondità di conoscenze e un pensiero critico che si nutre del sapere disinteressato. Solo con più cultura si può usare la tecnologia per il bene comune e i mezzi tecnici possono restare tali e non trasformarsi in “fini”. La religione digitale, viceversa, è proprio quel processo in cui i mezzi determinano i fini.

Progetti analoghi sono stati proposti in molte altre scuole. Come mai solo da voi c’è stata la capacità di approfondire e criticare i contenuti dei progetti?

Le implicazioni del Piano “Scuola 4.0” sono molteplici e non esistono organi di informazione che ne parlino, pertanto per comprenderle serve tempo, un confronto collettivo profondo, conoscenze dei processi che già da decenni stanno modificando la scuola; tra noi, alcuni genitori da molti anni svolgono attività di ricerca in difesa della scuola pubblica e di studio delle trasformazioni intervenute in attuazione di progetti che si radicano negli anni ’90. Questo retroterra culturale si è incontrato al Liceo Albertelli con una comunità scolastica attiva, con genitori che già più volte quest’anno si sono riuniti in assemblea per affrontare insieme i problemi del liceo (stando attenti però a non invadere il campo dei veri protagonisti della scuola – docenti e studenti), con insegnanti che non rinunciano alla riflessione sul proprio ruolo e sulla libertà d’insegnamento, con studenti estremamente attenti e partecipi. Non è facile oggi incontrare questa “congiunzione” di elementi fecondi che hanno permesso nella nostra scuola un’analisi del processo approfondita, documentata e condivisa democraticamente in ogni suo passaggio.

Anche in moltissime altre scuole si sono levate voci di dissenso, con collegi dei docenti – e nel caso del Liceo Artistico “Frazzini” di Varese anche il Consiglio di Istituto – che hanno respinto il Piano “Scuola 4.0” e/o i numerosi progetti ad esso collegati: dalla rapida diffusione che ha avuto la notizia dell’opposizione dell’Albertelli e dai numerosissimi attestati di solidarietà che abbiamo ricevuto, riteniamo che ovunque – oggi più di ieri – si stia creando la possibilità di prendere coscienza delle criticità della digitalizzazione integrale della scuola e di crescere individualmente e collettivamente in un percorso di confronto comune.

Riteniamo inoltre, che la forza dell’esperienza Albertelli stia nel fatto che il nostro “piccolo NO” è stato pronunciato con un atto concreto, avente forza amministrativa, non con un’idea astratta, un’opinione. E questo fa particolarmente paura perché dice che è possibile praticare il dissenso, lascia intravvedere la possibilità di un’opposizione costruita con opinioni ma anche con forme individuali e collettive di conflitto.

Pensate di costruire dei rapporti continuativi su questi temi?

Abbiamo svolto un’assemblea aperta a Roma il 15 giugno scorso all’Università La Sapienza alla quale hanno partecipato oltre 150 persone in presenza e un centinaio collegate on line su una piattaforma indipendente: oltre ai docenti del liceo Frazzini di Varese erano in collegamento anche insegnanti e genitori da Palermo, Napoli, Torino, Lucca, Sondrio, Milano e altre località. L’idea emersa con forza all’assemblea è di costituire un coordinamento tra le scuole e le persone interessate ad approfondire la critica alla digitalizzazione della didattica e capire in che modo, con quali forme di lotta ci si può opporre a questa riforma profonda della scuola portata avanti “clandestinamente” senza neanche passare per il Parlamento.

Per settembre-ottobre contiamo di costruire, insieme a chi vorrà collaborare, un convegno al quale invitare studiosi, ricercatori, intellettuali, giuristi per approfondire i diversi aspetti dell’impatto della digitalizzazione sulla scuola, sulla didattica, sull’apprendimento.

Nei vostri documenti si può leggere una critica argomentata non solo a questi due progetti, ma all’intero impianto del PNRR Scuola. Puoi spiegare quali sono le principali criticità che avete rilevato?

Le motivazioni della nostra critica sono di diversa natura ma ciò che vorrei sottolineare in via preliminare è che in tutto il Piano “Scuola 4.0”, dove si utilizza una neolingua che vuole presentarsi nel segno della complessità e della scientificità mentre di fatto propone solo espressioni a effetto non motivate, si fa costantemente riferimento ad autorità e studi senza mai specificare un nome o una precisa teoria verso la quale si sarebbe constatato un consenso scientifico diffuso: nelle 24 pagine di cui è costituito il documento non vi è una sola citazione pedagogica o didattica, ma solo riferimenti a organismi economici.

Una prima critica è di natura economica, in quanto i fondi che arrivano alle scuole non sono un regalo, bensì sono soldi dati in prestito, che andranno quindi restituiti con tanto di interessi, gravando sul debito pubblico che i nostri figli e le nostre figlie saranno chiamati/e a ripagare, determinando inoltre nel futuro nuovi tagli al finanziamento delle politiche scolastiche. Alla scuola servono investimenti strutturali, non finanziamenti spot, che tra l’altro saranno spesi in materiali di consumo, in dispositivi che diverranno obsoleti in brevissimo tempo (e che necessitano di assistenza, manutenzione), in kit didattici pronti all’uso, con costi che sono già lievitati per garantire lauti profitti alle numerose agenzie private e – ovviamente – alle grandissime aziende digitali (GAFAM).

Esistono motivazioni politiche, in quanto qualsiasi progetto o idea di scuola sottende un’idea di società: la digitalizzazione allude a una società del controllo e del disciplinamento sociale, dove lo spazio viene completamente automatizzato e tecnicizzato e in cui i privati avranno il governo dei territori. La scuola digitale ricade nella stessa visione strategica ed è proprio su questi due livelli che abbiamo avviato la nostra riflessione collettiva.

Ancora: l’introduzione massiccia e ubiquitaria di dispositivi digitali, di software proprietari gestiti da corporation si approprierà e metterà sul mercato una mole impressionante di dati personali di studenti, insegnanti, genitori. Nessuna autorità è attualmente in grado di controllare e tutelare davvero la nostra privacy; il controllo a distanza, la profilazione, l’utilizzo nel marketing sono invasioni indebite nella sfera personale, in violazione di norme, contratti, diritti del lavoro e individuali.

Ma ciò su cui si è focalizzata in particolare la nostra critica al Piano “Scuola 4.0” è l’impatto che ha sulla didattica e sulla formazione del pensiero.

Bisogna subito chiarire, infatti, che qui non stiamo discutendo banalmente dell’acquisto di computer o strumenti informatici; la dotazione digitale è solo il primo passaggio: potremmo definirlo una sorta di “cavallo di Troia” per introdurre una trasformazione profonda della didattica nella sua totalità. Obiettivo del Piano è infatti anzitutto condizionare automaticamente l’insegnamento all’interno dei nuovi spazi di apprendimento, sia in termini di modalità didattiche che, conseguentemente, di forma dei contenuti: la fruizione di contenuti attraverso i dispositivi digitali costringerà necessariamente a ripensare tempi, metodologie, funzioni personali, relazioni e risorse, connettendo ancora di più la scuola alle esigenze dell’attuale mercato del lavoro.

L’orizzonte applicativo delle tecnologie nella Scuola 4.0, nonostante l’esperienza disastrosa degli scorsi anni, è quello della Didattica a Distanza: tanto nella teorizzazione delle nuove metodologie, quanto nelle competenze che gli insegnanti dovranno obbligatoriamente acquisire, il saper confezionare pacchetti di interi corsi da fruire da remoto è la capacità che più viene valorizzata, anche in termini retributivi e di gerarchia interna tra i docenti.

L’idea-guida della nuova scuola è che vadano sottratti tempo e risorse alle conoscenze fondamentali necessarie per una preparazione che consenta di comprendere la complessità del mondo e per sviluppare un proprio pensiero autonomo e critico, sviluppato grazie al pluralismo che caratterizza la scuola pubblica. Perché il digitale non è semplicemente uno strumento come altri che sempre sono stati utilizzati dagli umani: quello digitale è un ambiente (e nel caso dello smartphone un’appendice del corpo) in cui i giovani sono immersi h.24 in una costante condizione di assoluta solitudine e in una dimensione virtuale, di separatezza dalla vita materiale, concreta, incorporata, con ricadute spesso gravissime sulle condizioni psicofisiche. Disegna un ambiente che crea una nuova forma mentis, riduce le capacità simboliche e speculative e secondo molti scienziati sta realizzando nei cervelli degli adolescenti e delle creature piccole significative modificazioni organiche di cui non possiamo non tenere conto.

Oltre alla cattiva informazione da parte della stampa, avete avuto anche pressioni da parte del Ministero? E cosa pensate di fare ora per sviluppare e diffondere il visto punto di vista?

Più volte siamo stati minacciati di veder commissariata la scuola se non avessimo accettato i fondi PNRR, nonostante la normativa non preveda tale istituto per le scuole, ma solo procedure farraginose e antidemocratiche che la L. 108/2021 non si vergogna di ricomprendere in azioni di “Superamento del dissenso” (si veda l’art. 13 di tale legge).

Il Collegio dei Docenti è stato convocato per ben quattro volte per ottenere un assenso sui progetti del PNRR che, nonostante questa pratica illegittima, sono stati respinti per tre volte dagli insegnanti del Pilo Albertelli (una seduta è stata sospesa dal dirigente).

Non sappiamo se vi siano consiglieri “autorevoli” dietro questa protervia, però dobbiamo denunciare anche il tentativo di impedire lo svolgimento della nostra assemblea aperta alla città, poi tenutasi comunque il 15 giugno scorso: sia una scuola, sia una facoltà universitaria ci hanno dapprima concesso e successivamente revocato l’utilizzo di uno spazio, entrambi con pretestuose scuse tecniche (guarda caso le medesime!). Temiamo che le manovre per silenziare e reprimere la riflessione sul PNRR Scuola possano nascondere interessi considerevoli che noi, con l’esercizio democratico del confronto collettivo e aperto, rischiamo di mettere in crisi. Ci auguriamo che questo atteggiamento censorio non sia una realtà generalizzabile nella nostra città, pertanto facciamo appello a chi dirige scuole o facoltà affinché dichiarino la propria disponibilità ad ospitare momenti di confronto aperto sulla tematica della digitalizzazione dell’istruzione e sull’utilizzo dei finanziamenti del PNRR – Missione 4 per la scuola.

In ogni caso noi cercheremo di coltivare questa nuova energia che si sta sprigionando dalle scuole, che dà voce ad un malessere e a una critica per troppo tempo anestetizzati e conculcati con il peso della burocrazia, con il dirigismo e con l’imposizione di un’obbedienza acritica. Auspichiamo che quel tempo sia passato e che si apra una nuova stagione di discussione e di iniziativa in difesa della scuola pubblica, di quella che Calamandrei nel 1956 ebbe modo di definire “organo vitale della democrazia […] persino più importante del Parlamento, della Magistratura, della Corte Costituzionale”.

In ultima analisi, siamo di fronte a un conflitto di paradigmi, tra chi vuole difendere il carattere pubblico e costituzionale della scuola e chi vuole metterla sul mercato, ridurla a servizio, a grande affare per questo secolo. Lo prevedeva già nel 1998 Gérard de Selys in un articolo sul numero di giugno di Le Monde Diplomatique intitolato “Tecnocrati e industriali progettano il futuro. La scuola grande affare del XXI secolo”.

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Un commento a “Piano Scuola 4.0. Avrei preferenza di no”

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