Articolo uscito lo scorso 30 aprile sul sito: www.naufraghi.ch

“Il sonno della ragione genera mostri”: è il titolo di un’opera, famosa e citatissima, di Francisco Goya, anno 1797 – in pieno illuminismo. Molte le interpretazioni possibili date all’opera, ma qui la usiamo anche noi per rappresentare ciò che accade quando l’uomo non ragiona, non pensa e si generano mostri – come oggi la guerra criminale della Russia (la barbarie è tornata in Europa) contro l’Ucraina. Titolo che qui integriamo dicendo che anche il sonno della storia – la conoscenza della storia (e dei processi che la costruiscono) è ciò che supporta la ragione; la sua ignoranza, uccide invece la ragione – genera mostri.

E noi viviamo ormai da decenni in un sistema politico, economico, formativo e della comunicazione fondato sull’informazione compulsiva, sull’ora e adesso, sulla mancanza di sedimentazione e rielaborazione di ciò che è accaduto ieri per capire ciò che accade oggi e potrebbe accadere domani, sempre sopraffatti dall’emergenza, dall’eccezionalità, dall’ultima notizia per di più spettacolarizzata. E la cancellazione del pensiero complesso e critico, dell’astrazione teoretica, della progettualità e insieme della memoria hanno prodotto la fine del senso della storia, cioè del senso (sensato e responsabile) del nostro vivere come cittadini consapevoli e partecipativi e non solo come consumatori (anche di notizie, comprese le fake-news).

Il sistema capitalistico-industriale in cui viviamo impone sempre più alla società (a noi) una incessante rivoluzione, una continua crisi e una crescente disruption senza senso, se non quello della massimizzazione dei profitti privati. Se un tempo la storia aveva un senso e gli uomini avevano progetti condivisi da perseguire (il Progresso degli illuministi; o la società emancipata per Marx), oggi viviamo invece senza senso e senza progetto se non quello del produrre e del consumare sempre di più (anche gas e petrolio). Così assoggettandoci (ancora il sonno della ragione) a un caso/caos che non sappiamo più controllare e gestire, a cui però il sistema ci chiede incessantemente di adattarci (è la sua pedagogia per la nostra interiorizzazione della way of life del tecno-capitalismo), perché questo stato di caos/crisi cronico e strutturale è (1) funzionale al funzionamento di questo sistema, nichilista ed ecocida ma molto profittevole per il capitale; e perché (2) dimenticare il passato, cancellare il futuro, vivere in un eterno presente è una tecnica e una forma di esercizio del potere molto efficace e molto ricercata dal potere per la propria riproducibilità infinita, annullando ogni opposizione reale. Una prassi di potere che è de-democratizzante, semplificativa, diseducativa e disinformativa, polarizzante e produttrice essa stessa di populismo (soprattutto digitale), il tutto oggi potenziato (3) dalle nuove tecnologie che massimamente velocizzano ogni cosa, che si presentano come sempre nuove e diverse dal passato e impediscono quindi la riflessione e uccidono il pensiero critico (la fretta genera l’errore in ogni cosa, ammoniva già Erodoto), integrandosi e sommandosi alla vecchia ma sempre efficace tecnologia di potere del panem et circenses, oggi chiamato consumismo, social, società dello spettacolo, del divertimento e del godimento immediato. Tutto questo ci concentra sui fatti e quindi esclude/rimuove ex ante (volutamente? Deliberatamente? La risposta è: sì) ogni analisi complessa dei processi che hanno prodotto questi fatti – e così (ad esempio) crediamo di essere nella quarta rivoluzione industriale mentre, se ne analizzassimo i processi vedremmo che è solo la fase digitalizzata della sempre uguale rivoluzione industriale iniziata tre secoli fa.

Anche l’invasione dell’Ucraina è uno di questi fatti. Arrivata dopo che per decenni abbiamo chiuso gli occhi – in cambio di gas e petrolio (ancora il sonno della ragione) – sui processi che stavano avvenendo: sia in Russia (autocrazia nazional-religiosa, oligarchia delle materie prime e non solo, cancellazione della libertà civile, politica, culturale e altro ancora), sia in Occidente (espansione verso Est della Nato, autoritarismo/para-fascismo e populismo crescenti negli Usa e in Europa – Marine Le Pen è al suo record in Francia; metà degli americani rivoterebbe Trump – e l’oligarchia/oligopolio delle Big Tech e altro ancora).

Oggi la necessità di sostenere l’Ucraina (ma se fossimo coerenti con i nostri valori dovremmo sostenere anche i palestinesi che si oppongono all’invasione e al colonialismo decennale israeliano) ci fanno così nuovamente dimenticare (ancora il sonno della ragione) che anche l’Occidente e la Nato sono ipocriti. Perché è ipocrisia accusare (giustamente) la Russia di spegnere la libertà e di manipolare la verità se poi gli Usa vogliono processare Julian Assange la cui colpa è quella di avere esercitato – cosa normale in una democrazia che sia davvero tale – il diritto alla libertà di espressione e di informazione. Perché se l’Europa fosse coerente davvero con i suoi valori – e noi vorremmo che lo fosse, facendosi esempio virtuoso per il mondo intero, perché crediamo nella libertà, nella democrazia, nella ragione, nei diritti dell’uomo – accoglierebbe non solo i rifugiati ucraini, ma anche quelli che arrivano dall’altra parte del Mediterraneo o dall’Afghanistan (che gli Usa hanno consegnato all’oscurantismo talebano senza porsi alcun problema di coscienza), profughi che lasciamo anche morire (sì, siamo razzisti!) nascondendo la testa sotto la sabbia (che è un’altra forma di sonno della ragione).

Ovvero: il sistema ci mobilita sui fatti e sulle emergenze/contingenze (è la sua logica dello stato d’eccezione/emergenza permanente, utile al capitale e al complesso militare-industriale) così impedendoci di analizzare i processi che hanno prodotto il fatto-guerra e di provare – a contrario – a costruire invece la pace (che non è un fatto, ma un processo che richiede tempo e costanza e una continua manutenzione).

Far dimenticare il passato, far perdere la memoria collettiva, far vivere solo nel presente e nel tempo reale e non più in quello storico e progettuale: in questo, tecnica e consumismo (il tecno-capitalismo) sono abilissime (gli è appunto funzionale). Utile diventa allora – anche qui per non dimenticare, per comprendere i processi che il sistema genera, poi nascondendoceli – ripensare alla storia della Compagnia delle Indie Orientali: un impero coloniale aziendale, una società per azioni con un proprio esercito alla conquista dell’India per profitto privato e diventata poi il modello di tutte le multinazionali (industriali, commerciali, finanziarie) di oggi e dell’altro ieri. Per farlo rinviamo all’affascinante saggio storico di William Dalrymple, Anarchia, edito da Adelphi. Che scrive, nell’Epilogo del libro: “La conquista dell’India da parte della Compagnia resta quasi sicuramente il supremo atto di violenza aziendale nella storia del mondo. […] La domanda, vecchia di trecento anni, su come bilanciare il potere e i rischi delle grandi multinazionali non ha ancora ricevuto una risposta definitiva. […] Nel ventunesimo secolo una grande società di capitali può ancora sopraffare o rovesciare uno Stato con la stessa efficacia della Compagnia […] nel Settecento. […] Le più potenti tra loro non hanno [più] bisogno di armate proprie: possono contare sui governi per proteggere i propri interessi e farsi salvare dal fallimenti”. Arrivando comunque, sempre grazie alla correità degli Stati, a governare la vita intera dell’uomo. Con il potere soft di parole come amicizia, social, condivisione che permettono loro di governare, orientare, guidare la vita di miliardi di persone (ben oltre i venti milioni di indiani governati dalla Compagnia); ma anche con il potere hard della violenza – e giusto nove anni fa, per chi lo avesse dimenticato, a Dacca si contarono 1.134 morti nella tragedia del Rana Plaza, assassinati in nome del profitto.

Dopo tre secoli di rivoluzione industriale e di colonizzazione capitalistica del mondo (concetto che riprendiamo da Habermas, Gorz e Bodei) – dello spazio fisico-geografico, della vita e della coscienza delle persone, arrivando oggi al capitalismo della sorveglianza di massa secondo Shoshana Zuboff (e con una violenza aziendale in realtà ben maggiore di allora) – la domanda su come bilanciare il potere e i rischi delle grandi multinazionali, non ha ancora ricevuto una risposta definitiva. Semmai siamo affascinati dall’imprenditore Elon Musk che vuole conquistare/sfruttare e colonizzare aziendalmente Marte e lo spazio trasformandoli in business; e che si è appena comprato Twitter – che è anche una potentissima macchina algoritmica di manipolazione di massa e di controllo dell’informazione – pagandolo 44 miliardi di dollari; o da Mark Zuckerberg che ci vuole portare in un Metaverso, cioè a un processo di ulteriore alienazione dell’uomo da se stesso e dalla ragione (e dalla libertà e dalla democrazia), facendoci delegare (alienare) la nostra vita a degli algoritmi e a viverla nello spazio virtuale – ed è una forma di colonizzazione tecnologica, oltre che ancor più aziendale, della vita e della coscienza/ragione umana.

Ancora e sempre, il sonno della ragione genera mostri.

2 commenti a “Dall’Ucraina alla Compagnia delle Indie Orientali – e a Twitter”

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