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Governare la società del dopo Covid

A cura del network “Ripensare la cultura politica della sinistra”.

Non vogliamo discutere il Recovery Plan avanzando un ennesimo contropiano e neppure redigere un manifesto. Ci interessa mettere a fuoco una cultura politica capace di condurre alle domande giuste nella definizione di una visione dell’Italia, senza lasciarle poi sospese nell’aria, ma indagando anche le possibili risposte ed entrando, per quanto possibile, nel merito delle questioni.

La visione culturale che ci ispira non combacia con gli schemi mentali cui ci ha abituato la sinistra ufficiale in questi anni. Mai come in questo momento è divenuta evidente come la sua modesta capacità di produrre idee, il suo distacco dal paese reale e l’indeterminatezza della rappresentanza, siano alla base dell’indubbia sconfitta che ha subito con le vicende che hanno portato all’avvento del governo Draghi. Quella sconfitta non può essere archiviata solo come questione di numeri parlamentari. Essa pone in rilievo ancora una volta che fuori da una qualificante presenza di governo la sinistra rimane disarmata, senza egemonia, senza idee forza, progetto politico e mobilitazione sociale.

Gli ultimi eventi entro il Pd sono infine l’espressione di una crisi che c’era da tempo, forse genetica, a lungo mascherata dal ruolo di difesa che esso ha assunto verso destra, che gli assicurava la fedeltà di una parte del suo elettorato. Trasformato in partito di opinione, il Pd ha creduto che per vincere le elezioni fosse sufficiente sottoporre agli elettori una squadra di governo autodefinita come più capace ed efficiente. Ha creduto – in sintonia con la vicenda della sinistra europea – che si vincessero le elezioni erodendo l’elettorato di destra, senza più chiedersi attorno a quale pezzo di società intendesse costruire le necessarie alleanze sociali. Senza più esercitare una funzione critica verso l’uniformazione delle politiche alle prescrizioni dominanti, e (pur con qualche debole resistenza) verso l’omologazione culturale all’interpretazione prevalente della società e del capitalismo. Con il risultato di non guadagnare un solo voto e di perderne tanti.

L’offerta politica sulle questioni dei diritti civili ha consentito di trovare un consenso tra i ceti urbanizzati e istruiti (diventato dominante). Ma è un consenso che non tocca i temi sociali ed economici rimasti privi di elaborazione. Né altri settori della sinistra hanno colmato il vuoto.

Chi rappresenti oggi la sinistra ufficiale non è dato sapere. Il suo declino coincide innanzi tutto con la perdita dell’elettorato che più subisce le diseguaglianze e con il mancato coinvolgimento e mobilitazione dei soggetti sociali interessati a correggerle. Ma corrisponde anche all’incapacità di elaborare una proposta di governo dell’economia che vada oltre le indicazioni convenzionali o che provi a disegnare un altro tipo di società.

Un largo segmento di società si è visto così privato di rappresentanza (ma anche di protagonismo sociale) proprio nel momento in cui era più minacciato dallo sviluppo tecnologico e dalla grande riconversione produttiva e organizzativa del capitalismo. Quel segmento si è progressivamente allargato e rischia sempre più di trovare un’alternativa nell’astensione, se non nell’offerta politica della destra estrema.

Questo documento è un tentativo di avviare una discussione su questioni fondanti per la sinistra. Forse con un pensiero controcorrente (ma non utopistico) che tenta di ridefinire per il Paese le coordinate di un socialismo democratico adeguato ad un mondo discosto da quello fordista nel quale la socialdemocrazia ha espresso il meglio di sé e che oggi richiede che si facciano i conti con i cambiamenti profondi avvenuti nel lavoro, nella produzione e nei connotati antropologici. Sono riflessioni che possono opporre un metodo e un merito ad una sinistra di governo non più capace di organizzare una discussione politica (e neppure un congresso).

Non ci sfugge, però che senza interlocutori le idee non camminano. Sappiamo che un’agenda può avere successo solo se trova soggetti politici che la interpretino e la condividano. Dopo trent’anni di divorzio tra cultura e politica è difficile farsi illusioni. Oggi, però, due vicende significative riaprono il campo. Non solo quella del Pd, che può avere un esito negativo di destrutturazione e dispersione di forze, ma potrebbe anche consentire l’avvio della ricostruzione della sinistra che faccia i conti la sua storia recente (sempre che sia in grado di farli e non punti a una affrettata ricomposizione che getti la polvere sotto il tappeto). Anche la vicenda dei Cinque Stelle, che – forse per necessità – sta evolvendo verso l’uscita dal grillismo (promossa dallo stesso Grillo) e, dopo l’abbandono degli elettori tornati alla Lega o comunque a destra, non può che approdare a una qualche forma di riformismo. Ma già esiste anche nel Paese una sinistra plurale, non identificata con alcun partito, che può intervenire da protagonista in questa ridefinizione della politica: esiste nei sindacati, nel Terzo settore, nella cittadinanza attiva e movimenti ambientalisti, in pezzi dei partiti citati e in un’opinione diffusa non omologata.

Il documento che abbiamo elaborato, pur con le sue indicazioni propositive, è solo in senso lato un documento di policy. Si colloca piuttosto in un ambito culturale: è l’affermazione che un’altra visione del mondo e delle cose è possibile. Le molteplici proposte che vi sono contenute implicano una battaglia delle idee, perché ogni indicazione di indirizzo prende spunto da una visione alternativa rispetto a quella che informa l’opinione corrente. Attiene a un altro modo di interpretare la società, il potere, l’azione pubblica e le diseguaglianze; a tutto ciò che dovrebbe caratterizzare una sinistra degna di questo nome.

Quindi, anche se è difficile attendersi oggi una sua traduzione pratica, questa riflessione disegna un modo d’essere e di posizionarsi inteso ad attrezzare coloro che si collocano su un versante critico (specie dentro i partiti della sinistra). E, dato che le indicazioni non hanno nulla di utopistico (nulla che una forza politica socialista non possa realisticamente assumere come orizzonte concreto), potrebbero essere un punto di riferimento per dare corpo ad una discussione su un insieme di temi su cui strutturare una sinistra rinnovata.

Se riformismo ha significato in origine “riformare il capitalismo per renderlo compatibile con la società” e si è poi trasformato in “riformare la società per renderla compatibile col capitalismo”, oggi si tratta di tornare alla prima definizione. Con una premessa: la sinistra italiana o è componente di una partita che si gioca in Europa, o le sue istanze, tenute in ambito puramente nazionale, non avranno il respiro necessario.

Qui è possibile leggere il documento “Governare la società del dopo Covid”, alla cui elaborazione hanno collaborato:

Alessandro Aresu, Salvatore Biasco, Giacomo Bottos, Ferruccio Capelli, Carlo Carboni, Pierluigi Ciocca, Vittorio Cogliati Dezza, Francesco Denozza, Mattia Diletti, Mario Dogliani, Giovanni Dosi, Massimo Egidi, Maria Rosaria Ferrarese, Antonio Floridia, Massimo Florio, Nicolò Fraccaroli, Maurizio Franzini, Carlo Galli, Rino Genovese, Elena Granaglia, Gabriele Guzzi, Piero Ignazi, Alfio Mastropaolo, Enrica Morlicchio, Federico Nastasi, Ugo Pagano, Laura Pennacchi, Mario Ricciardi, Andrea Roventini, Gianfranco Pasquino, Lorenzo Sacconi, Rocco Sciarrone, Valdo Spini, Roberto Tamborini, Valeria Termini, Walter Tocci, Carlo Trigilia, Nadia Urbinati, Salvatore Veca, Gianfranco Viesti, Vincenzo Visco.

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