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Meglio di così non poteva andare

I limiti della Climate Action globale svelati a Glasgow.

“Fino a oggi l’azione che riguarda il clima è stata caratterizzata da promesse deboli, tra l’altro neppure mantenute”1. Così Inger Andersen, Executive Director dello United Nations Environment Program, si è espressa alla vigilia della Cop26 recentemente conclusasi a Glasgow. Si può dire che quest’ultima ha prodotto risultati che autorizzano un giudizio diverso, meno sconfortante?

1. La valutazione formulata da Andersen è frutto di un confronto analitico di tutti gli impegni assunti in attuazione dell’Accordo di Parigi, nelle versioni aggiornate al 30 settembre 2021 che i governi sono stati sollecitati a presentare proprio in vista della Conferenza di Glasgow. Appena più in particolare, si tratta dei Contributi Nazionali previsti dall’art. 4, c. 2, dell’Accordo, dei quali può ben dirsi che costituiscono il very heart, proprio il cuore, di tutto l’impianto disegnato nel 2015. Ai loro contenuti e alla loro credibilità è interamente affidato l’obiettivo di non superare le fatidiche soglie di 1,5 o 2,0 gradi previste dall’art. 2 – e tanto maggiore, però, risulta il peso del giudizio che abbiamo riportato.

Per essere più precisi, perché il punto è importante. In preparazione della Cop26, il Segretariato dell’UNFCC ha invitato tutti i partecipanti alla Conferenza a rafforzare gli impegni già assunti nel quadro del Paris Agreement – cioè ad aggiornare i propri Contributi Nazionali – ovvero ad assumerne – presentarne – di nuovi, fissando al 30 settembre 2021 la data di chiusura della call (un mese prima della data di inizio della Cop26). Sui 193 partecipanti, hanno corrisposto alla richiesta 120 stati più l’Unione Europea. La valutazione formulata da Inger Andersen riguarda appunto i new or updated Contributi Nazionali così raccolti, prontamente esaminati nel mese di ottobre, più gli annunci di nuovi impegni da parte di Cina, Giappone e Repubblica di Corea, presi in considerazione sebbene mancanti della formalizzazione come Contributi Nazionali2.

In estrema sintesi, i dati più rilevanti sono contenuti nella Tabella 1 – ed è subito chiaro che giustificano un giudizio quanto mai severo. Calcolato sulla base dei vecchi Contributi Nazionali – quelli vigenti prima della call, che quest’ultima ha invitato a migliorare – il valore al 2030 delle emissioni annuali di GHGs risulta pari a 54 GtCO2e, contro i 39 e i 25 necessari a rispettare i limiti di 2,0 e 1,5°C; sulla base dei nuovi Contributi Nazionali, raccolti grazie alla call, risulta pari a 50 GtCO2e, con una riduzione, dunque, di appena 4 unità, che lascia il volume complessivo lontanissimo dai limiti che bisogna rispettare affinché gli obiettivi fissati a Parigi non restino lettera morta. Per dire la stessa cosa in termini percentuali, il livello di 54 GtCO2e avrebbe dovuto ridursi, rispettivamente, del 27% e del 55%, mentre si è ridotto di un molto modesto 7,5%.

Altrettanto grave, com’è inevitabile, la situazione in termini di aumento della temperatura globale. A 54 GtCO2e corrisponde un incremento di 2,8°C, a 50 GtCO2e uno di 2,7: inutile sprecare parole per sottolineare, di nuovo, la modestia della diminuzione, e soprattutto la distanza dal desiderabile, particolarmente da quell’1,5°C che via via, nei mesi precedenti la Conferenza, si è imposto come punto di riferimento in modo più stringente di quanto non fosse accaduto a Parigi.

a Sotto le seguenti ipotesi: (i) una riduzione pressocché lineare dal livello raggiunto negli ultimi anni, (ii) ‘sforamenti’ temporanei delle soglie assenti o molto limitati, (iii) probabilità di rispetto del limite pari a 0,66.

2. Vedremo tra poco l’importanza di questi dati dal punto di vista della valutazione di quello che è successo nel corso della Cop26. Adesso sappiamo che i partecipanti vi sono entrati con impegni forieri di un livello delle emissioni al 2030 pari al doppio di quello coerente con l’obiettivo di restare sotto la soglia di 1,5°C: come ne sono usciti? Questo, alla fine, quello che conta – ma prima di rispondere bisogna ancora aggiungere qualche nota al quadro già delineato, destinata purtroppo ad aggravarlo.

  • Innanzitutto va osservato che il valore di 50 GrCO2e è stimato sotto l’ipotesi che tutti gli impegni previsti dai Contributi Nazionali aggiornati in vista della Cop26 siano rispettati per filo e per segno: cosa difficile da credere, vuoi per via degli scostamenti tra obiettivi e risultati che si verificano in qualsiasi processo di implementazione che non sia banale, vuoi per l’assenza, nella fattispecie, di qualsiasi sistema di enforcement disegnato per sanzionare il mancato rispetto degli impegni.
  • Ulteriori ombre sono gettate sul punto che precede da quello che è successo nel passato. “Quando si considera l’impatto dei nuovi impegni, si deve anche notare che i membri del G20, collettivamente, non sono ancora sulla strada giusta per onorare i loro precedenti Contributi Nazionali”. Per esempio, “vale la pena di osservare che il Canada e gli Stati Uniti hanno sottoposto Contributi Nazionali con obiettivi rafforzati, mentre studi indipendenti suggeriscono che l’implementazione delle politiche correnti non è in linea con gli obiettivi dei precedentiContributi nazionali”3.
  • Al di fuori del sistema formale incentrato sui Contributi Nazionali, un certo numero di stati (49, di cui 12 appartenenti al G20, più la UE) ha enunciato obiettivi o espresso intenzioni all’insegna dell’idea di zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Purtroppo si deve osservare: (i) che quand’anche tutte queste previsioni fossero rispettate al 100%, il risultato sarebbe un aumento della temperatura globale di 2,2°C, dunque non soltanto ancora molto superiore a 1,5°C, ma anche nettamente maggiore di un aumento che resti “ben al di sotto” di 2,0°C; (ii) che la maggior parte degli impegni “fanno registrare una mancanza di trasparenza per quanto riguarda gli approcci adottati in materia di fairness, i piani di conseguimento (incluso l’uso di tecnologie di rimozione) e i sistemi di documentazione dei progressi e di revisione”4. E poi, soprattutto, si tratta di obiettivi e intenzioni largamente incoerenti con le politiche in atto e/o previste dai Contributi Nazionali, vecchi e nuovi: “Come gruppo, i membri del G20 stanno implementando politiche che neppure sono grado di rispettare i Contributi Nazionali, tanto meno obiettivi di azzeramento netto5. In sintesi, difficile sfuggire all’impressione di confuse promesse a lungo termine destinate a mascherare le insufficienze, si è visto quanto gravi, degli impegni assunti nel presente.

Vale anche la pena di osservare che nell’imminenza della Cop26, come a sollecitare l’impegno dei partecipanti, queste stesse insufficienze non sono state denunciate soltanto dallo UNEP, ma anche da altre fonti mainstrem e da moltissimi centri indipendenti. Tra questi ultimi, per esempio, il Climate Action Tracker trova risultati appena migliori di quelli di UNEP, con un aumento di 2,4°C in presenza di Contributi Nazionali al 2030 messi in opera senza alcun tentennamento e di 2,1 a tener conto degli impegni a lungo termine6. Quanto alle fonti più vicine all’establishment globale, (a) IEA, sulla base dello Stated Policies Scenario7, trova un aumento di 2,6°C di qui alla fine del secolo, e rileva che lo Announced Pledges Senario “copre meno del 20% della riduzione di emissioni che deve essere realizzata entro il 2030 per mantenere a nostra portata un sentiero di 1,5°C”; (b) il Fondo Monetario Internazionale segnala che la quantità di emissioni al 2030 prevista dagli impegni finora assunti devono ridursi del 55% per conseguire il risultato di 1,5°C e del 30% per conseguire quello di 2.0°C8.

Dunque un elevato livello di convergenza, maggiore di quello che di solito si incontra quando si confrontano dati di diversa origine; e soprattutto, nell’insieme, sulla base dei numeri e delle carte, uno ‘stato delle politiche’ pressoché inguardabile. A dispetto del quale, però, è pur vero che i lavori della Cop26 hanno preso il via in un clima in certo modo ‘positivo’, vivace, caratterizzato dalla speranza di poter finalmente assistere a una discontinuità – dall’attesa che l’evento, finalmente, segnasse un turning point, un punto di svolta. A tanto, in parte, concorreva lo stesso grado di evidenza che la crisi climatica aveva assunto nei mesi precedenti, sia a causa dei drammatici eventi dell’estate, sia per via dei dati contenuti nell’Assessment Report dell’IPCC uscito all’inizio del mese di agosto. Per forza di cose, a seguire le cronache e a leggere le nuove evidenze scientifiche, qualunque persona ragionevole si è trovata a pensare – se non ora, quando? Nella stessa direzione, però, spingeva anche la verve della protesta animata dalle generazioni più giovani – portatrici di un messaggio positivo e vivace if there is one – insieme, apparentemente, a una maggiore disponibilità all’ascolto da parte dell’establishment. Infine, anche il conferimento dei premi Nobel per la Fisica – tutti, più o meno direttamente, pertinenti alla problematica del cambiamento climatico – ha fatto la sua parte nel generare attenzione, attese, un certo tipo di fiducia. Ma anche così si torna alla domanda di partenza – è lecito sostenere che i lavori della Conferenza hanno confortato la necessità e l’attesa, se non proprio di una svolta, almeno di un passo avanti degno di questo nome?

3. La risposta si articola in due parti: una formata da valutazioni riguardanti questioni di carattere specifico; una di taglio sintetico, o meglio ‘aggregato’, sulla stessa lunghezza d’onda delle cose dette nel paragrafo 1.

3.1. Per quanto riguarda la prima, sono stati presi in considerazione i risultati che la Cop26 ha conseguito in merito ai seguenti argomenti, ognuno dei quali oggetto di una scheda:

1. la lotta alla deforestazione

2. la riduzione delle perdite di metano

3. l’uscita dal carbone

4. gli aiuti finanziari ai paesi più esposti e più poveri.

In aggiunta, una scheda è anche dedicata alla nascita della coalizione nota con l’acronimo BOGA, impegnata a consegnare alla storia l’uso del petrolio e del gas naturale (tra gli argomenti di maggior rilievo manca ancora il pricing delle emissioni di CO2, riservato a un prossimo intervento).

La parola ‘risultati’ va presa con cautela. Come il lettore vedrà dalle schede, in genere si tratta dell’enunciazione di obiettivi, intenti, posizioni: mai di vere e proprie decisioni, destinate a intervenire direttamente sulla realtà dei fatti, secondo percorsi vincolanti, e definiti, messi in forma operabile e quindi controllabile.

3.2. A rilievi dello stesso genere si prestano anche i ‘risultati’ che riguardano il quadro generale degli impegni consegnati ai Contributi Nazionali, al quale è dedicata la seconda parte della nostra risposta.

Naturalmente la Conferenza non poteva non prendere atto dei dati forniti da UNEP et al. Sia pure un po’ di traverso, lo ha fatto nel paragrafo 25 del Glasgow Climate Pact, il documento conclusivo dei lavori, dove “nota con seria preoccupazione […] che secondo le stime, nel 2030, tenuto conto dell’implementazione di tutti i Contributi Nazionali presentati, le emissioni aggregate di GHGs saranno del 13,7% superiori al livello del 2010”. Quindi, a fronte di questa situazione:

  • il paragrafo 26 “sottolinea l’urgente necessità che le Parti aumentino i propri sforzi per ridurre collettivamente le emissioni attraverso un’azione accelerata e l’implementazione di misure domestiche di mitigazione in accordo con l’Articolo 4, c. 2, dell’accordo di Parigi”;
  • il paragrafo 28 “sollecita le parti che non hanno ancora comunicato Contributi Nazionali nuovi o aggiornati a farlo nel più breve tempo possibile”;
  • il paragrafo 29 “chiede alle parti di rivedere e rafforzare entro la fine del 2022 [corsivo nostro] i target al 2030 dei Contributi Nazionali [già presentati] in modo da allinearli con le temperature-obiettivo dell’Accordo di Parigi”.

In buona sostanza, tutto qui9: secondo l’Accordo di Parigi, una nuova ‘tornata’ di Contributi Nazionali avrebbe dovuto aspettare fino al 2025; vista la radicale insufficienza del quadro vigente, la scadenza è anticipata al 2022.

Questo risultato ha ricevuto valutazioni di diverso genere, alcune delle quali moderatamente positive, in base all’argomento che, se non altro, offre una ‘sponda’ ai paesi maggiormente interessati ad azioni realmente rapide e incisive. Altre ancora hanno segnalato la presenza, almeno, di un linguaggio più robusto e stringente del consueto; e la stessa adozione di un Climate Pact, che non era in programma, è stata saluta come una sorpresa di segno positivo.

A nostro avviso, per l’essenziale, il risultato si commenta da solo.

Intanto, come pure è stato osservato, un lessico più incisivo non vale certo a compensare lo strutturale deficit di cogenza che sul piano reale, retorica a parte, contraddistingue le “richieste” che il dispositivo disegnato a Parigi consente di rivolgere agli stati. Su quali basi assumere che questi ultimi, l’anno prossimo, daranno vita al salto di qualità che tanto vistosamente non si è prodotto a seguito delle sollecitazioni ricevute in vista della Cop26?

In secondo luogo, i numeri della Tabella 1 consentono di dare un contenuto abbastanza preciso all’aumento degli sforzi del quale, con enfasi, il Glasgow Climate Pact sottolinea la necessità. Come sappiamo, rispetto a quelli precedenti, i Contributi Nazionali sollecitati e raccolti in vista della Cop26 hanno messo capo a una riduzione delle emissioni di 4 GtCO2e; quelli nuovamente sollecitati per la fine del 2022, se davvero devono essere coerenti con l’obiettivo di non superare un Global Warming di 1,5°C, dovrebbero contemplare una ulteriore riduzione di 6-6,5 volte più elevata (maggiore di 4 volte se l’obiettivo è quello di restare “ben al di sotto” di 2,0°C) – e uguale, pertanto, dovrebbe essere il fattore di moltiplicazione degli sforzi nel giro di un anno. La critica, in questo caso, è poco più di un invito a fare mente locale sui dati di realtà implicati dagli obiettivi: drammatici problemi di credibilità ne derivano senza bisogno di tante spiegazioni.

E poi, tra un anno, sarà passato un anno – e un anno in meno, su un totale di 9, non è precisamente poco. Anche qui: in pratica non vi è bisogno di dire che, contratte in 8 anni, le riduzioni delle quali vi è bisogno risultano tanto più improbabili. Né, più in generale, può sfuggire che la prospettiva di un altro anno destinato a passare senza che ragionevolmente possa intervenire alcun vero passo avanti (fattuale, sul piano delle quantità) non è precisamente in linea con l’affermazione battente, continuamente ripetuta, che bisogna agire now adesso, senza indugi.

In breve, delle due l’una: o è vero che siamo sull’orlo dell’abisso, e allora i risultati della Cop26 non possono che apparire segnati da una radicale, penosa inadeguatezza; o i risultati della Cop26 si prestano a un giudizio del tipo ‘luci e ombre’, e allora non è vero che siamo sull’orlo dell’abisso. Purtroppo, la verità sta dal lato della prima ipotesi.

Detto questo, immaginiamo che subito verrà in mente la seguente obiezione: per l’aspetto in esame, le cose non potevano andare diversamente da come sono andate; per quanto l’esito si presti a un giudizio tanto severo quanto quello che ci sembra appropriato, più che cercare di stringere i tempi di una nuova tornata di impegni, e insistere sulla necessità di sforzi più convinti, la Conferenza non poteva fare. Esatto – ma l’obiezione, lungi dal giustificare una valutazione meno severa, non fa altro che mostrare quanto le radici del problema stiano in profondità, nello stesso impianto e nella stessa ‘filosofia’ dell’Accordo di Parigi, dal quale dipende quello che le Cop possono o non possono fare.

Naturalmente, mettere in questione l’intero impianto dell’Accordo di Parigi non è compito da affrontare a cuor leggero: per quanto ci riguarda, i suoi limiti sono ormai fin troppo chiari10, ma non per questo è meno difficile tracciare i contorni di un assetto più efficace, più soddisfacente. La questione, comunque, non è evitabile e pertanto sarà al centro di prossimi interventi – insieme all’altra, naturalmente, quella che verte su come, fattualmente, nella materialità delle attività produttive e dei consumi, ottenere il risultato di dimezzare le emissioni di GHGs entro il 2030. L’intero establishment globale – dominato com’è dall’assillo della crescita, a sua volta figlio dell’imperativo capitalistico della valorizzazione del valore – punta essenzialmente sul binomio innovazione tecnologica / finanza multilaterale, con possibili e pericolose derive in direzione di non provate forme di Geoengineering11, intese a controllare il clima del pianeta come se fosse un unico grande ‘oggetto tecnologico’. La fallacia di questa impostazione, non diminuita dal fatto che l’innovazione tecnologica resta ovviamente una variabile cruciale, è già stata oggetto di un nostro contributo di qualche tempo fa; ma anche in proposito sono in programma prossimi interventi. Intanto, il lettore che voglia ulteriormente familiarizzarsi con i termini della crisi ecologica, e con le condizioni del suo superamento, è invitato a leggere il primo resoconto, che presentiamo, di un recentissimo lavoro di taglio, diciamo così, politico-scientifico. Per la pregnanza dei contenuti, e per l’autorevolezza della fonte, non sapremmo trovare cornice migliore del ‘programma di ricerca’ che ci proponiamo di portare avanti.

Note

1 UNEP, Emissions Gap Report 2021: The Heat Is On, Ottobre 2021, disponibile in rete, p. xv.

2 Naturalmente, nel caso dei Paesi che non hanno aggiornato i propri Contributi Nazionali, né ne hanno presenti di nuovi, sono stati presi in considerazione quelli comunque disponibili.

3 UNEP, Emissions Gap Report 2021…, cit. p. XIX e XX.

4 Le aree di oscurità riguardano le emissioni diverse da quelle di CO2, l’inclusione o meno dei voli internazionali (non è un dettaglio), la previsione o meno di interventi di compensazione (altra questione molto delicata). Insomma Si tratta di impegni di scarsa ‘qualità’, pesantemente affetti da elementi di vaghezza, ambiguità, incoerenza e simili.

5 UNEP, Emissions Gap Report 2021…, cit. p. XVI. Tra l’altro, nessun Contributo Nazionale riduzioni accelerate, e molti nemmeno lineari, sicché, complessivamente, uno sforamento del Carbon Budget risulta inevitabile, con tutto ciò che ne consegue.

6 Climate Action Tracker, Warming Projections Global Update, novembre 2021, disponibile in rete.

7 Costruito “guardando settore per settore a quali misure i governi hanno effettivamente messo in opera, come pure a specifiche iniziative legate a policy in corso di sviluppo” (International Energy Agency, World Energy Outlook 2021, ottobre 2021, disponibile in rete, pp. 15-16).

8 Simon Black, Ian Parry, James Roaf, Karlygash Zhunussova, Not Yet on Track to Net Zero: The Urgent Need for Greater Ambition and Policy Action to Achieve Paris Temperature Goals, Staff Climate Note No 2021/005, 31 ottobre 2021, disponibile in rete.

9 Salvo sollecitazioni dello stesso tenore per quanto riguarda gli impegni a lungo termine, orientati ad azzerare le emissioni nette attorno alla metà del secolo, con l’opportuna segnalazione dell’importanza che essi trovino riscontro negli impegni più ravvicinati contemplati dai Contributi Nazionali.

10 Già chiari, per la verità, la sera della sua sottoscrizione.

11 Per una spiegazione sintetica, si veda ad esempio: http://www.geoengineering.ox.ac.uk/www.geoengineering.ox.ac.uk/what-is-geoengineering/what-is-geoengineering/

Qui il PDF completo di tutti gli allegati

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